domenica 21 dicembre 2014

batterismi 2.0

Ancora un post sulla batteria, questa volta però voglio parlare del mio secondo set, non quello acustico, ma bensì elettronico: la Roland TD-1KV. Ho sempre considerato le batterie elettroniche come qualcosa di poco interessante, lontano anni luce dal feeling e dal sound di un set acustico e utile per lo più per poter suonare in ambienti casalinghi, dove difficilmente ci si può permettere di far troppo rumore. E così non ho mai approfondito l'argomento.

Poi un paio di mesi fa ho avuto l'occasione di provare al volo il set elettronico di mio fratello Mattia, che nonostante sia bassista è sempre stato affascinato dal mondo batteristico (e forse non è così strano visto che basso e batteria compongono la sezione ritmica di un gruppo e qualcosa la condividono) e, a differenza del sottoscritto, ha sempre subito il fascino delle batterie elettroniche. Con mio grande stupore, passare anche solo qualche minuto provando i vari set mi ha molto entusiasmato! I suoni erano molto meglio di quanto credessi, inoltre la varietà è notevole (si va da set che riproducono batterie acustiche a percussioni e suoni elettro più sintetici). Divertente!

Già questo aveva suscitato molta curiosità in me, ma la vera folgorazione l'ho avuta scoprendo il video seguente, durante la ricerca fatta cercando di recuperare tutto quello che potessi sul mondo delle batterie elettroniche. Coi miei pregiudizi ero rimasto negli anni '80, mentre invece il mondo elettronico, ed in particolare Roland, era arrivato a livelli incredibili.


Ok, c'è da dire che il batterista in questione, Tony Royster Jr., è un mostro di tecnica e bravura e questo aiuta, ma la cosa che mi ha davvero lasciato di sasso è la qualità del sound di quella batteria, la TD-30KV. In particolare, il set al minuto 4:22 ha un sound spaziale, che riproduce in maniera incredibilmente fedele quello di un set acustico. L'avessi ascoltato senza vedere il video, mai avrei pensato ad una batteria elettronica. Ed oltre ad avere suoni molto fedeli, ha anche una riproduzione del tocco delle bacchette che sembra assolutamente realistica. Inoltre i tamburi con le pelli mesh danno un feeling molto vicino a quello di un set tradizionale (ed anche il look è molto simile), ormai i pad di gomma rimangono solo sulle batterie più economiche. Insomma, mi si è aperto un mondo! Certo, batterie come questa sono fantascienza per me, per il top di gamma parliamo di 7mila euro di prezzo... 

In ogni caso quel video, e la prova del set di Mattia, mi hanno fatto nascere la voglia di approfondire la mia esperienza nel settore, proprio in un momento in cui mi sono ritrovato a cambiare saletta col gruppo, trasferendomi più lontano da casa e soprattutto non avendo più la possibilità di provare quando volevo con la mia batteria nella nostra saletta personale. Suonare una sola volta a settimana durante le prove è decisamente troppo poco per pensare anche solo di mantenere una certa abilità, figurarsi persino di migliorare con un po' di studio. E così ho deciso di farmi un regalo di Natale anticipato ed ho preso la novità Roland, la nuova entry level TD-1KV.


Ovvio che siamo anni luce lontani dalla meraviglia top di gamma, ma pace, sono felicissimo del nuovo acquisto! La scelta è ricaduta su questo set soprattutto per la sua compattezza, poi per la qualità visto che Roland è probabilmente la leader nel settore e infine per il prezzo comunque contenuto. Se tom e timpano sono riprodotti coi classici pad di gomma più economici, il rullante è invece con pelle mesh, ottimo quindi per lo studio e l'allenamento di paradiddle, vista la risposta quasi equivalente ad un rullante acustico. Questa TD-1 ha compresi 15 set molto vari, con l'unico difetto di non aver la possibilità di creare un set user prendendo i suoni che si vogliono, opzione che invece ha Mattia sulla sua Yamaha; peccato, non mi pareva così difficile da implementare. Ci sono diverse canzoni implementate su cui suonare, la possibilità comunque di collegare lettori mp3 o direttamente un computer per suonare con la propria musica ed esercizi vari col metronomo. Decisamente un'ottima compagna di studio e divertimento! Sentita da fuori non fa nemmeno troppo rumore (ah, le pelli mesh hanno anche il vantaggio di essere più silenziose dei vecchi pad) e se in casa si sente, i vicini dicono di non essersi accorti di nulla, ottimo così quindi!

Al di là della soddisfazione per il mio kit, mi piacerebbe davvero molto poter provare la splendida TD-30. Il feeling di un set acustico credo che sia qualcosa di unico, qualcosa di cui non vorrei mai privarmi. Io in particolare adoro le accordature basse delle pelli di tom e timpano e sentirli vibrare sotto i colpi delle bacchette e godermi quel sound profondo credo che non sarebbe possibile allo stesso modo con un set elettronico, per quanto evoluto. Però le pelli mesh, unite ad una varietà pazzesca di suoni (il kit ne contiene mille, personalizzabili poi dall'utente), più la possibilità di avere suoni differenti per pelle e bordo del tamburo, crea potenzialità infinite. Chissà, intanto mi limito a sognarla e a divertirmi con la mia nuova arrivata!

Altro vantaggio dell'elettronica, collegandola al mio Mac dovrebbe essere abbastanza facile da registrare, cosa che devo ancora sperimentare. Chissà che questo non permetta qualche altra collaborazione oltreoceano col mio amico downunder, che ne dici Seh? :)

sabato 20 dicembre 2014

batterismi

Rileggendo l'ultimo post sui Qaanaaq ho notato come non sia stato chiaro in alcuni punti, che provo a riprendere qui. Suonare e ideare le parti di batteria insieme al mio gruppo è molto divertente, soprattutto grazie alla varietà della musica che mi viene proposta da chi compone, piena di spunti ritmici intriganti (per esempio, non vedo l'ora di sviluppare gli ultimi riff registrati, con dei tempi dispari che mi metteranno alla prova!). Come dicevo nell'altro post, non essendoci posti alcun limite nella band e non avendo nessuna speranza commerciale, la libertà è massima: l'unico metro di giudizio è il nostro gusto, quando qualcosa non ci piace ce lo diciamo e questo viene scartato.


il mio set, Mapex Horizon, piatti UFIP e doppio Iron Cobra

Se questo è comunque vero, non era mia intenzione però dire che il voler rimanere all'interno di un genere musicale oppure il voler ricercare un'immediatezza d'ascolto sia un qualcosa di negativo. Anzi, collaborando con Sergio ad un suo pezzo rock ho scoperto quanto sia difficile essere semplici, ma efficaci, sostenere la canzone senza essere invasivi e lavorare per il risultato d'insieme con coerenza. Sergio compone ottimi pezzi rock con un orientamento post-grunge (tra i primi Nickelback e i Foo Fighters giusto per dare una vaga idea), quindi canzoni molto diverse da quelle che suono coi Qaanaaq. Dopo averlo aiutato a trovare una linea di batteria essenziale, ma efficace come mi aveva richiesto per un suo pezzo, mi sono anche proposto di registrarla, avverando un sogno che avevo da tantissimo, quello di avere una collaborazione musicale con lui. Io e Sergio siamo cresciuti insieme, ma ci siamo sviluppati musicalmente in tempi e modi molto diversi, lui ben prima e con un grande studio alle spalle (che continua tutt'ora su vari strumenti) io invece in maniera molto più sporadica, scriteriata e in tempi relativamente recenti. Ma almeno su quella canzone siamo insieme! Beh, in realtà ci siamo arrivati in tempi recenti, visto che lui ha registrato tutto tranne la batteria in un momento, ed io sono arrivato mesi dopo, in studio da solo con lui dall'altra parte del globo! Ma tant'è, il risultato c'è e non vedo l'ora che la canzone sia ultimata per poterla fare ascoltare. Temo ci vorrà del tempo, in ogni caso il rough mix della registrazione è comunque un tesoro che custodirò gelosamente e che porterò sempre nel cuore!


in studio per registrare, tutti quei microfoni mettono pressione

In ogni caso, al di là dei modi e dei tempi, trovare il giusto mezzo tra l'essere incisivi e il non strafare, tra lo studiare un passaggio che dia energia e che sostenga, ma senza essere né scontato né eccessivo, il trovare una certa coerenza, con qualche idea che magari viene ripresa più volte durante il pezzo e che, probabilmente in maniera inconscia, venga recepito dando continuità, non è affatto facile! Devo dire che diverse idee per la canzone erano state sviluppate da un precedente batterista, altre erano state suggerite da Sergio e da mio fratello Mattia, bassista della precedente band di Sergio. Però mettere le mani su quanto c'era già, cercare di levigare, di trovare le connessioni e soprattutto i passaggi giusti, è stata una bellissima esperienza, con la ciliegina sulla torta data dalla soddisfazione di Sergio per il risultato.

In un certo senso, è più difficile doversi muovere tra dei paletti che comporre in piena libertà. E quella che suona come una canzone sostanzialmente semplice, non vuol dire che sia stata facile da comporre. Non credo che la difficoltà tecnica o l'ostinata varietà di un pezzo ne attesti proporzionalmente la qualità. Certo è bello esprimersi senza limiti e scoprire fin dove ci si può spingere suonando canzoni da dieci minuti con cambi di tempo, intermezzi jazzati e sfuriate di doppio pedale; è sperimentazione pura. Ma avendolo provato, trovo che possa dare soddisfazione anche il comporre e suonare in maniera più lineare, creando alla fine delle canzoni che possano rimanere in testa e che coinvolgano emotivamente grazie alla facilità con cui ci si può connettere, perché non cercano invece lo smarrimento e spiazzamento a cui certi pezzi composti dai miei fratelli possono portare.

Alla fine, tra l'altro, ascolto più gruppi di rock melodico e con una forma canzone classica che band sperimentali quanto quella in cui suono io. Anche le emozioni che si provano suonando questi diversi generi sono in parte differenti, perché con i Qaanaaq mi trovo più impegnato fisicamente (non che faccia sfoggio di chissà quale tecnica, perché quella proprio mi manca!) e devo prestare più attenzione vista la varietà dei pezzi, mentre nel brano inciso con Sergio mi godo di più la canzone, è più facile sentirsene parte e abbandonarsi alle emozioni (che tra l'altro aiutano a suonare con più convinzione e coinvolgimento). Non sono differenze nette, diciamo che in alcuni momenti queste sensazioni diverse si sovrappongono, perché anche in una canzone metal c'è abbandono alle emozioni (un passaggio veloce per esempio tende a farmi sfogare parecchio, pestando come se per la pelle del rullante non ci fosse un domani!), oppure un certo giro di una canzone rock può essere comunque impegnativo e richiedere attenzione nell'esecuzione.


tu-pa tu-pa tu-pa!

Quello che conta è che si stia suonando qualcosa che si reputa interessante, che trasmetta emozioni. A me piace il rock melodico, è forse il genere musicale che ascolto con più piacere, proprio mentre scrivo sto ascoltando i Foo Fighters, band che ultimamente mi ha molto coinvolto grazie all'uscita dell'ultimo disco, l'ottimo Sonic Highways (e dell'omonima, splendida mini serie). Mi piace dare sostegno ed energia con la batteria a canzoni che hanno una melodia, che io stesso posso seguire e sentire suonando. Allo stesso tempo, mi piace pestare sfogando le frustrazioni, mi piace suonare veloce (per le mie possibilità) e sinistro, sentendo il cantante che tuona un growl estremo, il basso che fa vibrare ogni cosa, la chitarra ribassata che gli fa concorrenza e la tastiera che sostiene il tutto con dei cori epici! Probabilmente a causa, o dovrei dire grazie, ai vari ascolti della mia infanzia, non credo che riuscirei a limitarmi ad un solo genere musicale. La musica fatta bene, fatta col cuore, è tutta meritevole. Scaturisce da emozioni diverse e procura emozioni diverse, sia ascoltandola che suonandola. La varietà arricchisce sempre, ascolti diversi aiutano ad ampliare gli orizzonti e a scoprire nuovi modi di esprimersi, così come suonare generi diversi migliora le capacità di espressione musicale e la tecnica. 

Ci tenevo a fare queste precisazioni perché nel post precedente mi sono concentrato troppo sui Qaanaaq e davo l'impressione di ritenere la varietà fine a se stessa come una condizione necessaria per la riuscita di una canzone, ma non è così.

venerdì 12 dicembre 2014

qaanaaq

A due anni dall'ultimo post, eccomi tornare a scrivere su queste schermate. Compagno costante nel periodo pre-Australia e durante la mia permanenza downunder (già cinque anni son passati), il mio blog non era più stato il contenitore delle news o dei miei flussi di coscienza, con qualche eccezione, tipo le prime esperienze con la maratona e poco altro. Non so se da adesso riprenderò a scrivere in maniera più costante, ma mi piacerebbe registrare qui le esperienze di questi mesi, legate alla musica e in particolare al gruppo in cui suono, i Qaanaaq.


La band si è formata poco più di tre anni fa, con un nucleo composto da me ed i miei due fratelli maggiori (batteria, basso e tastiere), a cui si è aggiunto Francesco alla chitarra. Nulla era stato deciso a tavolino, c'era solo voglia di trovarsi in sala prove e jammare, per puro divertimento e con la curiosità di scoprire cosa ne sarebbe venuto fuori. E quello che abbiamo scoperto subito è stato un gran divertimento, dello stare insieme e del condividere quest'esperienza che è curioso non sia accaduta prima: tre fratelli, tre musicisti, più o meno capaci per carità, ma comunque in grado di suonar qualcosa che però in anni e anni mai si erano messi a far qualcosa insieme! Beh, l'importante è averlo fatto ora. Pur non essendoci alcuna idea precisa del genere musicale che si sarebbe suonato, era ovvio che il rock e il metal sarebbero state le due influenze principali, perché generi fondamentalmente preferiti da noi. 

I nostri ascolti in famiglia però sono sempre stati molto vari, anzi proprio di questo devo ringraziare i miei fratelli, ed anche i miei genitori. Son cresciuto in una casa in cui la musica era sempre presente. La sera, dopo cena, spesso mio padre imbracciava la chitarra ed insieme a mia madre cantava i loro pezzi preferiti, soprattutto musica italiana, Battisti, Pooh e tanti altri di cui non so nemmeno il nome. Riascoltate ora, quelle canzoni mi mettono sempre malinconia, come tutto quello che riporta all'infanzia. Quelle ore passate ad ascoltare i miei genitori sono state il primo insegnamento su quanto potere ha la musica. Inoltre solo in tempi recenti ho capito quanto il modo di suonare di mio padre mi abbia influenzato, con la sua passione e la sua energia che prendono il sopravvento nei momenti più sostenuti; pur suonando un altro strumento, mi rendo conto che sono parte di me (anche in altri campi, ma qui si divagherebbe troppo).

E poi, appunto, c'era la musica ascoltata dai miei fratelli e da mio cugino, a noi legato come un fratello: dal rap anni '80 (Run DMC su vinile) a Frank Zappa, dal primo Elio e le storie tese al progressive anni '70 e Branduardi, i Queen ed il grunge, gli Iron e la folgorazione del Black Album dei Metallica del dei primi '90, più qualche spruzzata di punk (Ramones e Bad Religion soprattutto) e gli imprescindibili fratelli Blues. E tanto, tanto altro ancora. Poi crescendo ho avuto varie fasi di innamoramento verso qualche genere in particolare (il Power Metal in adolescenza su tutti), ma comunque gli ascolti musicali erano sempre vari, cosa che mi ha portato ad essere aperto a tanti stili differenti. E così, tornando al discorso Qaanaaq, pur avendo una certa predilezione per il metal e comunque il rock in generale, c'era la massima apertura verso qualunque influenza. Le chitarre pesanti e ribassate di Francesco hanno steso sicuramente un velo oscuro sulle prime composizioni, mentre l'avvicendamento con Dario avvenuto qualche mese dopo ha aggiunto una chitarra più eclettica, oltre ad un membro ormai saldo del gruppo.


la prima, storica Qaanaaq Room

Per molto le canzoni sono state solo strumentali, ed alla fine funzionavano anche così, tanto che l'idea di cercare un cantante o meno è stata fonte di dibattito per molto tempo. Enrico è stato il primo e alla fine unico cantante a provare con noi e si è inserito in un contesto non facile, considerando la struttura musicale il più delle volte lontana dalla forma canzone classica, ma il suo growl è ormai parte integrante della band, sicuramente quella più metal, che si fonde con le altre influenze a volte più rock e progressive.


Qaanaaq Room 2.0

Mi è difficile dare un giudizio alla musica che suoniamo, dovrei ascoltarla in maniera più distaccata, ma non mi è possibile, visto che i pezzi li conosco da troppo vicino, in ogni dettaglio e li ho suonati ormai decine e decine di volte. Certamente non è musica per tutti, anche per chi ha comunque dei gusti musicali tendenti all'estremo, perché non siamo comunque catalogabili in un sottogenere metal preciso. Mi stupisce sempre quindi quando sento fare degli apprezzamenti ai pezzi, soprattutto da chi magari ci ha appena sentiti suonare dal vivo, visto che la durata e la varietà di ogni pezzo lo rendono a mio parere per lo meno poco immediato. 

Però questo è anche il bello di suonare liberi da ogni necessità commerciale: suoniamo quello che ci viene naturale, lasciandoci ispirare senza condizionamenti. Partiamo da un'idea, molto spesso un giro di tastiere, oppure anche di basso o di chitarra, e da lì si procede, suonando insieme e vedendo dove porta. Spesso un passaggio viene poi stravolto e reso irriconoscibile, altre idee vengono semplicemente scartate e poi magari recuperate in altre canzoni. E non avendo nemmeno una necessità di stare nei classici tre o quattro minuti radiofonici, abbiamo modo di spaziare e di far evolvere il pezzo come vogliamo, spesso sfiorando i dieci minuti di durata. Il bello è che, quando suoniamo, le canzoni mi passano veloci, soprattutto se suonate dal vivo. Lì si aggiunge anche il lato emotivo, l'emozione di suonare davanti ad un pubblico. E che siano cinque, trenta o più persone non conta, in quel caso i minuti passano come secondi.


durante il nostro primo concerto, al Rocker Pub

Come dicevo, c'è una constatazione molto realistica della situazione, si suona per il puro e solo gusto di suonare insieme, senza nessuna illusione. E non è poco comunque, questo gusto. Già suonare uno strumento regala emozioni, ma suonare insieme è qualcosa di speciale. Qualche sera funziona meglio, qualche altra meno, a volte sei fresco e carico e altre vieni da otto ore di lavoro e una giornata piena di impegni. Ma quando funziona al meglio (e a volte succede proprio quando meno te lo aspetti), quando sei proprio dentro al pezzo, è qualcosa di magico. Io so suonare solo uno strumento (o per lo meno ci provo) e mi limito quindi solo all'esperienza che questo può dare, ma stare dietro ad una batteria e dare il ritmo a tutta la band, magari in un momento sostenuto, scambiare occhiate rapide ma piene di significato coi fratelli e con gli amici, vederli sorridere e godersi il momento, sa essere molto emozionante. Ed è ancora più bello pensare che tutto questo sia nostro, venuto da noi e dalle nostre idee, dai nostri ascolti e dalle nostre influenze.

Perché scrivere solo ora del mio gruppo? Perché mi piacerebbe avere un resoconto di queste settimane che, se tutto procede secondo i piani, ci porteranno a registrare un demo dei nostri pezzi. Oltre alla musica, vorrei avere anche un'analisi più approfondita di quello che farò io in preparazione e durante le registrazioni. E infine perché è tanto che non scrivo e questo un po' mi mancava.

Potrei parlare di musica per ore, e magari lo farò, approfondendo il lato batteristico della cosa. Ma per ora va bene così.

mercoledì 14 novembre 2012

a Maratona e ritorno

Finalmente, dopo mesi di preparazione, ho corso la mia prima maratona. Tantissime emozioni, ancora adesso a più di 24 ore di distanza. Credo che certi ricordi rimarranno indelebili nella mia memoria, intanto ho dei ricordi fisici nelle gambe che invece spero spariscano presto! Ma pure quelli hanno un che di positivo, ricordo delle fatiche estreme fatte sullo storico percorso da Maratona ad Atene.


lo stadio Panathinaiko, teatro dell'arrivo della Maratona

Ma andiamo con ordine, voglio partire da lontano, cioè dalla mezza maratona corsa a fine 2011. A quel tempo, era la corsa più lunga che avessi mai fatto, 21,1 chilometri. Mi ero detto, faccio questa distanza e vedo come va, poi deciderò se preparare una maratona o meno. La corsa andò bene, soprattutto grazie al "pacer" Sergio, che per tutto il tempo mi spronò a non rallentare e tenere un bel ritmo. Poi però, raggiunto l'obiettivo con tanta soddisfazione, mi sono distratto un po', non ho più ripreso a correre regolarmente e mi sono arreso al freddo dell'inverno.

Trasferitomi a Stezzano, mi era tornata voglia di fare qualche corsa anche per scoprire i dintorni della mia nuova casa, ma tra il dire e il fare è passato quasi un mese. Poi, non ricordo più nemmeno come e perché, mi è scattato qualcosa, mi son deciso a prepararmi per tutti e 42,2 chilometri della maratona. Non avevo grandi pretese, mi ero detto che, avendo fatto la mezza a Bergamo nel 2011, avrei potuto correre ancora sul percorso di casa, questa volta raddoppiando le distanze. Purtroppo però, dopo i disguidi organizzativi dell'anno passato, la maratona a Bergamo nel 2012 non era in programma. Che fare? La maratona di Roma sarebbe stata a marzo, quella di Milano ad aprile, impossibile prepararsi per tempo. Mi ci voleva una maratona a fine anno. E lì mi son ricordato della maratona in Grecia di cui mi parlò Sergio. Mi son detto che non poteva esserci modo migliore e percorso più adatto per correre i miei primi 42 e 2, e così non c'ho pensato molto e mi sono subito iscritto, per non perdere lo slancio e per avere uno stimolo e un obiettivo ben preciso per la preparazione. Prima della fine di marzo ero tra i partecipanti! Ormai non avevo più scuse, era ora di mettersi sotto.

Ci sono diverse scuole di pensiero riguardo la corsa, come probabilmente ogni cosa. C'è chi per preparare una maratona parte da una base di almeno 40 chilometri a settimana e da lì aumenta e anche parecchio, con più di quattro corse a settimana, altri invece pensano che tre corse a settimana siano più che sufficienti e che non serva correre più di 50 chilometri ogni sette giorni, infine mi è stato anche consigliato di non correre mai più di 15 chilometri perché avrei affaticato inutilmente il corpo. Insomma, ognuno ha la sua opinione e non è facile capire bene cosa sia meglio. Io, che son sempre stato un testone e che spesso mi fisso troppo senza guardarmi bene intorno, sono partito a mille e soprattutto senza avere dei riferimenti nel passo da tenere. Facevo ogni corsa come se dovessi migliorare i miei tempi, dando sempre molto, ma così non si va lontano, soprattutto se ti stai preparando per una lunga distanza. Stavo stressando troppo il mio corpo, chiedevo uno sforzo non adeguato alle mie capacità e alle mie gambe, e così usciva sempre qualche fastidio a non darmi tranquillità.

Poi, quasi per caso, andando in un negozio a cercare un paio di scarpe nuove ho incontrato un ragazzo dell'ASICS che mi ha fatto il test per verificare l'appoggio del piede e quindi consigliarmi il modello di scarpa da corsa adatto a me. Oltre a questo, mi ha consigliato il sito myasics per tenere nota dei miei progressi e, soprattutto, per crearmi un piano d'allenamento su misura. Devo dire che mi sono subito trovato molto bene, era la giusta via di mezzo che cercavo (quattro corse a settimana, di cui all'inizio tre impegnative e una più rilassata, che in seguito diventano due e due), con riferimenti precisi sul passo da tenere (in base al tempo finale che si vorrebbe raggiungere in gara che si dà come riferimento creando il programma personalizzato). L'allenamento mirato sarebbe iniziato a fine maggio, per cinque mesi.


lo stadio visto dalla collina dell'Acropoli

All'inizio le distanze non erano troppo impegnative, ma certe corse dai ritmi sostenuti mi provavano abbastanza. Bello però vedere come in questa maniera riuscivo a costruirmi la muscolatura giusta e la resistenza, oltre all'abitudine a tener duro per distanze sempre più lunghe, fisicamente, ma soprattutto mentalmente. Non ho mai corso con lettori mp3 ascoltando musica, quello che mi piace della corsa è che mi fa staccare dagli impegni quotidiani, un ritaglio di tempo solo per me, in cui ci si deve concentrare solo sull'obiettivo di quel particolare allenamento e a nient'altro. Inoltre, per mezzora, un'ora o quello che è, non si è raggiungibili, nessuna interruzione esterna. E' quasi una sorta di meditazione per me. Non voglio quindi avere qualcosa che da un lato potrebbe probabilmente distrarmi e farmi passare meglio il tempo come la musica, ma che non mi permetterebbe di allenare la mente a gestire sforzi così prolungati nel tempo. Che poi alla fine c'è chi si porta la musica anche durante la corsa, ne ho visti diversi ieri, quindi il problema non si porrebbe, ma per ora a me piace così.

Piano piano i chilometri sono aumentati e così anche quello che era il mio limite finora corso, quello della mezza maratona, è stato migliorato. Prima 22,5, poi 27. Fino a quel momento non avevo avuto grossi problemi, alcune corse erano andate meglio, altre meno, ma in generale ero riuscito a mantenere il programma, a volte andando persino meglio di quanto avrei dovuto. Purtroppo far coincidere gli allenamenti lunghi della domenica con un lavoro su turni e anche nel weekend non è facile, così quando mi son ritrovato a fare 27 chilometri dopo una sveglia all'alba e otto ore di lavoro, ho dovuto veramente far ricorso a tutte le mie capacità di resistenza per portarli a termine. Poco dopo è andata ancora peggio con il primo dei due lunghi da 30 chilometri, sempre dopo il turno d'apertura al lavoro: mi sono arreso a 25, dopo aver dato tutto fino ai 20 e aver raschiato il barile delle mie energie per altri cinque miseri chilometri. Semplicemente non ne avevo proprio più. E questo sforzo eccessivo ha compromesso un'intera settimana di lavoro, perché qualche giorno dopo, durante una corsa tranquilla, ho avvertito una fitta allo stinco. Ovviamente, furbo come sono, non ho pensato a fermarmi subito, no, ho tenuto duro e stretto i denti fino alla fine, in pratica aggravando ancora di più il problema. Avrebbe anche un nome l'infortunio che ho avuto, ma ora non me lo ricordo più… Fatto sta che non riuscivo più a piegare il piede destro, dovevo tenerlo rigido per non sentir dolore.

Una settimana senza correre a un mese dalla gara e umore a zero, mi sembrava di non poter più recuperare e di aver compromesso tutto. Per fortuna ho avuto sostegno da molte parti, prima di tutto dalla mia ragazza, e così ho piano piano riacquistato fiducia. Può sembrare una reazione eccessiva la mia, e sicuramente lo è stata, ma quando si è così presi dagli allenamenti, anche solo l'idea di doverne saltare uno fa star male. E' sbagliato, ripeto, e devo imparare ad essere più flessibile. Ma se non si avesse questa dedizione, non si uscirebbe a correre dopo il lavoro, con la pioggia e il freddo, o non ci si alzerebbe la mattina presto per dei lunghi di un paio d'ore per poi passare otto ore di lavoro in piedi. In ogni caso, saltato il secondo allenamento da 30 chilometri, mi rimaneva solo l'ultimo lungo da 35 prima della maratona. Volevo che adasse bene, doveva andare bene, e per fortuna così è stato. Sveglia prima delle 7, pasta condita solo con olio per fare pieno di carboidrati e via a correre, sette giri del mio solito percorso da 5 chilometri in paese. Questa è stata la corsa che mi ha dato fiducia e tranquillità, ho corso 27, 28 chilometri tranquillamente, ho poi cominciato a sentire la fatica, ma nemmeno tanta quanto pensassi. L'ultimo giro è stato duro, ma è passato e da lì mancavano solo 7 chilometri (e 195 metri…) e avrei corso una maratona intera. Ce la potevo fare. Peccato però che non avessi fatto i conti con il mio ego e con la voglia di strafare!

Ma andiamo con ordine. Ho affrontato gli ultimi giorni con tanta voglia di arrivare al giorno della gara, sereno e tranquillo per la preparazione e fiducioso per un buon risultato. Atene mi ha accolto davvero bene, casini per lo sciopero generale a parte. L'hotel si è rivelato ottimo, per posizione e personale cortese, la città ha un'ottima atmosfera e la sua storia mi ha davvero coinvolto. Questo non ha fatto altro che aggiungere emozione per l'impresa che stavo per tentare. Col senno di poi, passare giovedì, venerdì e sabato mattina facendo su e giù per la città è stato un grandissimo errore. Avendo ormai un buon allenamento, non sentivo la stanchezza, non mi rendevo conto di quello che stavo chiedendo alle mie gambe, l'ho capito quando sono andato a cercare altro carburante nel momento di crisi durante la gara e non ne ho trovato più. Non sono dispiaciuto, non so se e quando tornerò ad Atene, l'idea di visitare la città era in cantiere e sono contento d'averlo fatto per quello che mi ha lasciato. Però ho in effetti preteso troppo dalle mie capacità.

La notte prima della gara è passata anche meglio di quanto pensassi, ero ansioso, ma non agitato, e ho dormito quasi sei ore, con la sveglia alle 5 ad aspettarmi. Alla consegna delle chiavi qui in hotel ho trovato un indiano alla reception che mi ha chiesto perché stessi per andare a correre per così tanti chilometri. "Ma ti pagano?", mi ha domandato seriamente. Proprio non riusciva a concepire come io pagassi il viaggio e l'iscrizione, solo per faticare come un mulo per 42,2 chilometri! E la cosa lo divertiva pure! E ha divertito anche me, che cercavo di spiegargli inutilmente come in cambio si ricevesse qualcosa che non è materiale, ma che nessuno ti porterà via per tutta la vita.

Volendo far tutto per tempo, ho raggiunto uno dei tre punti di raccolta per l'andata verso Maratona proprio alla partenza dei primi mezzi, alle 5:30. Lo sforzo organizzativo non è stato da poco, considerando che c'erano novemila persone da portare al via! La fila di pullman era impressionante e sarebbe continuata per un'oretta buona. Il viaggio è stato lungo (tanti semafori dove noi avremmo rotatorie), ma soprattutto mi ha spaventato quanti tratti fossero in discesa, e nemmeno leggera, perché quella era esattamente la strada che avrei fatto io al ritorno, di corsa. Sapevo che il percorso era in salita dal 10° al 32° chilometri, ma pensavo più a pendenze poco percettibili, non a vere e proprie salite! Ancora una volta però devo fare mea culpa, la difficoltà del tracciato mi era stata mostrata chiaramente davanti agli occhi solo poche ore prima della gara, ed io l'ho ignorata allegramente.

Arrivato a Maratona, il tempo mi è passato più in fretta di quanto pensassi. Dalle 6 e mezzo in poi ho prima messo sotto i denti qualcosa, poi ho fatto diverse tappe ai bagni (l'ansia e l'attesa mi fanno sempre questo effetto) e poi, verso le 8, mi sono preparato in tenuta da gara consegnando la sacca agli organizzatori. Con 14,4° C la temperatura era forse ideale per lo sforzo che mi attendeva, ma al momento faceva davvero freddo a stare in maglietta smanicata traspirante e pantaloncini!


allegro e sorridente alla partenza (sulla destra), ancora non so cosa mi aspetta

Tutto dimenticato al via però, con partenza ufficiale alle 9 e partenza del mio blocco alle 9:11. Tanta emozione, ottime sensazioni sulla mia corsa, son partito con un buon ritmo, ma già dopo il primo chilometro ho sbagliato tutto. Me l'avevano detto tante volte, vai piano all'inizio che la gara è lunga, ho anche ignorato l'avviso chiarissimo ricevuto giusto prima di partire da Alberto, che di maratone sulle gambe ne ha diverse: se all'inizio ti senti bene, rallenta! Non sprecare tutto all'inizio che tanto poi recuperi alla fine. Non so che dire, io mi sentivo bene e invece di tenere il passo al chilometro che mi ero prefissato vedevo che riuscivo tranquillamente a star sotto, prima di 10 secondi, poi anche oltre. Un'eternità, nella corsa. Anche quando al decimo chilometro è arrivata la salita, ho continuato a spingere, ormai ero lanciato. Primi 10 chilometri in 49 minuti e qualcosa, sono arrivato a metà gara con solo due minuti in più dal tempo della corsa fatta a Bergamo nel 2011, 1 ora e 43 minuti, solo che qui metà del percorso era stato in salita. Verso il 23° chilometro ho capito che cavolata avessi fatto: la strada continuava a salire e le mie gambe si indurivano sempre di più. Al 27° sono cominciati i crampi al quadricipite della gamba destra, compagni di viaggio praticamente fino alla fine. Da lì è cominciata un'agonia tremenda, e prima del 29° chilometro il primo stop, praticamente la svolta della corsa.


l'ingresso allo stadio, non esattamente in splendida forma

In quel momento mi rendo conto che sarà impossibile finire entro le 4 ore e per un attimo mi arrabbio con me stesso. Capisco però che a quello ci penserò dopo, ora devo continuare, quindi cerco di far passare il crampo e cammino fino a che il muscolo si rilassa, riprendo a correre, ma duro meno di un chilometro. Altro stop e poi un pochino più sciolto. Al 31° faccio seriamente fatica anche solo a camminare e lì, per un attimo, ho serissimi dubbi di riuscire a vedere il traguardo. La delusione è stata fortissima, mi stavo davvero per disperare, poi riprendo una corsetta che da fuori dev'essere stata proprio ridicola, piccoli passi e gambe pratiamente ingessate. Anche l'udito mi ha avvertito che qualcosa non stava andando troppo bene: sentivo tutto in maniera ovattata, ho capito poi che era la pressione che si era abbassata. Si sarebbe ripresa solo una mezzora dopo l'arrivo. Ma io dovevo finire, dovevo per forza arrivare alla fine, avessi dovuto anche solo camminare fino ad Atene. In pratica ho continuato un on/off di corsa e camminata ad ogni crampo, oltre a quello poi non mi sentivo davvero energie, avevo dato davvero tutto troppo presto, molto presto. Per fortuna il tracciato aveva smesso di salire. Non è che in discesa sentissi meno fatica o dolore, ma per lo meno sapevo di aver scollinato.


davanti a me l'arrivo, un paio di metri e l'agonia è finita

Visitando qualche giorno prima lo splendido stadio Panathinaiko, dov'era situato l'arrivo della maratona, mi ero immaginato cosa sarebbe successo di lì a qualche manciata di ore, le tante emozioni del passare finalmente il traguardo. Invece domenica ho raggiunto lo stadio, la musica ad alto volume, le persone che salutavano e ho tagliato il traguardo praticamente senza emozioni. Ero solo contento di non dover più faticare, di non dover più tentare di correre. Ero svuotato. Mi sono appoggiato ad una transenna, volevo sedermi, ma ho pensato che mi avrebbero fatto troppo male le gambe a rialzarmi. Così sono andato, come tutti gli altri, verso l'uscita. Appena prima c'era la consegna delle medaglie. Una ragazza me la mette al collo dicendo "Congratulations!", la ringrazio e continuo a camminare. Do un bacio alla medaglia tanto per, come se fosse un atto dovuto, ma qualcosa scatta dentro di me. Quello è stato il mio traguardo, solo lì mi sono reso conto che avevo finito la corsa, che ero arrivato alla fine. Con 35 minuti in più di quanto mi ero prefissato, oltre il limite delle 4 ore che davo decisamente per scontato, ma ero arrivato. Un attimo dopo qualche singhiozzo e poi ho cominciato proprio a piangere, liberando tutta la tensione accumulata durante la corsa e la lotta con i miei errori e la mia mancanza di energie.


sciolta la tensione e con la medaglia al collo, compare il primo sorriso 

Da quel momento, solo soddisfazione e felicità. Avrò modo di rifarmi se ne avrò voglia (e dalle sensazioni che sento, credo che avverrà molto presto, ma ne riparleremo), intanto sto portando a casa una medaglia che è solo un oggetto, ma rappresenta una battaglia che sono orgoglioso di aver vinto. Ho lottato contro me stesso, contro la voglia di smettere, contro i dolori e le energie che non c'erano più, contro soprattutto i miei errori da vero e proprio principiante. Per una minima mia discolpa, posso dire di aver voluto spingere perché un mio grande errore, nella corsa e in tante altre cose, è quello di non osare mai abbastanza. Non volevo tornare a casa pensando che avrei potuto dare di più. Da qui all'enorme errore di valutazione che ho fatto ce ne passa, me ne rendo conto, ma almeno potete capire da dove sia partita quella spinta a non risparmiarmi nemmeno all'inizio. Devo decisamente rivalutare la capacità di pensare alla corsa e alla distanza e calibrare meglio le energie, ma alla prima maratona direi che ci può stare. E soprattutto, non avrei mai e poi mai potuto accettare un ritiro, e sono contento di non averlo fatto, nonostante non abbia mai sofferto così tanto in vita mia.

Come faccio a spiegare tutto questo all'indiano alla reception?

mercoledì 14 dicembre 2011

domenica 11 dicembre 2011

primi passi sul tatami

Prima lezione di jiu jitsu, finalmente! I turni sul lavoro non sono sempre concilianti, così ho dovuto aspettare una settimana prima di presentarmi sul tatami, finalmente in kimono (prestato dal judo, sono simili), anche se "di cartone", come si dice, perché appena tolto dalla confezione. Insomma, il classico novellino al primo giorno di scuola!

Nonostante questo, mi sento bene accolto, anche se spaesato. I ragazzi sono tanti e simpatici, si prestano a fare esercizi con me portando molta pazienza e aiutandomi come possono. Una delle regole della palestra è infatti questa: aiuta sempre chi ne sa meno di te perché prima impara, prima diventa una risorsa per tutta la scuola ed uno sfidante per te. Sulla carta suona bene, ora che ho provato devo dire che la sensazione è che non siano solo parole e che sia un principio tenuto bene in conto. Tanto meglio per me, anche nel corso di taichi aver avuto modo di praticare da subito con chi aveva più esperienza di me mi ha fatto crescere in fretta.

Però è dura, principalmente perché i movimenti a terra sono difficili se non si è abituati, e io non sono proprio abituato! Figuratevi fare qualche minuto di lotta, cercando di resistere a chi ti tira per il kimono, ti stritola il costato con le gambe, ti butta a terra e ti fa leve di braccio! Dopo una parte di lezione di studio, abbiamo fatto qualche incontro libero. Io ne ho fatti due su tre, poi non avevo davvero più energie! Non so quale fosse la durata, penso cinque minuti, ma potrebbero essere stati anche tre, erano comunque interminabili!

E chi me lo fa fare? Me lo fa fare la sensazione di quite e rilassamento che ho a fine lezione, o il divertimento e la competizione sana che nasce durante il combattimento. Pure il rispetto e la gratitudine verso chi lotta con te. Com'era anche per il tuishou, mentre stai combattendo tutto quello a cui riesci a pensare è il combattimento stesso: cerchi di anticipare le mosse dell'avversario, di metterlo in difficoltà, di andare a pescare tra le mosse che hai imparato (e qui per ora c'è la mia enorme lacuna) quella che potrebbe essere più efficace, il tutto alla massima velocità possibile. Vivi il presente, impegnando mente e corpo insieme, ed alla fine sei sì drenato di energie, ma anche rilassato e soddisfatto, al di là che tu abbia subìto o meno durante l'incontro. Ho già voglia della prossima lezione.

Intanto voglio imparare ad allacciarmi correttamente la cintura, visto che ieri avevo un groviglio inutile e cartonato che faceva piuttosto ridere. Ecco un video che mi viene in aiuto, adesso provo e scelgo quale modo usare.

lunedì 5 dicembre 2011

jiu jitsu!


Da questa settimana inizio una nuova esperienza, ho deciso di seguire il corso di jiu jitsu brasiliano al posto del taijiquan, comunque sempre nella mia scuola e sempre col bravissimo maestro Max. E' stata una scelta che ho fatto in poco tempo, ma c'è da dire che i primi segni di interesse verso quest'altra arte marziale si vedevano da un po'.

Diciamo che i motivi di questo cambio sono molti e diversi tra loro. La prima cosa ad avermi attratto del jiu jitsu brasiliano (BJJ), forse proprio perché agli antipodi del taiji, è la sua vivacità, il suo essere in crescita come numero di scuole e praticanti, il fatto che sia tuttora in evoluzione. C'è proprio la sensazione di qualcosa di energico (non solo riguardo la pratica vera e propria), di vivo e di condiviso. Il taiji è per sua stessa natura più riflessivo, non crea lo stesso coinvolgimento e non ha forse la stessa spettacolarità, almeno ad un occhio inesperto che può essere più facilmente catturato dal BJJ. A mio parere nel taiji c'è troppa ortodossia, o almeno questo è un elemento che (qui come in qualsiasi altro ambito) a me fa storcere il naso. Alcuni miei amici del corso di taiji non saranno d'accordo, ma a me le evoluzioni contaminate non dispiacciono, così come apprezzo la scelta del mio maestro di creare una sorta di ibrido che prende a piene mani dalla tradizione cinese, ma modifica quegli elementi che, a suo parere e grazie ai suoi studi fisioterapici, non sono idonei al giusto utilizzo del corpo e al mantenimento della forma fisica.

Oltre a questi aspetti di contorno, a spingermi verso il BJJ è una rinnovato interesse verso un allenamento più fisico, più intenso. Il taiji può essere duro, e anche parecchio, dipende ovviamente da come lo si pratica, ma nella mia scuola l'accento è posto sul concetto di benessere, tralasciando l'aspetto più marziale, quindi non ho esperienze di un taiji più intenso. L'intensità io e alcuni compagni di corso la cercavamo nelle mattine dei weekend, passati al parco a fare tuishou, cosa a cui non voglio proprio rinunciare, turni di lavoro permettendo ovviamente... Ma di recente ho sentito il bisogno di qualcosa di più. E questo desiderio mi è venuto in un periodo in cui ho cercato di praticare il taiji quotidianamente, sia per sopperire alle assenze dal corso dovute al lavoro, sia per approfondire lo studio come quest'arte merita e necessita. Mi piace l'idea che col jiu jitsu possa confrontarmi sempre coi compagni, visto che è molto più basato sulla pratica e sul duello che su esercizi in solitario. E mi piace l'intensità di questi duelli, il primo assaggio mi ha molto colpito. Ho fatto una lezione di prova venerdì scorso, facendo qualche esercizio sicuramente in forma molto ridotta rispetto agli standard, ma già questo è bastato perché alla fine sentissi di aver usato ogni singolo muscolo del mio corpo!

A differenza della maggior parte delle arti marziali, il BJJ si basa soprattutto sulla lotta a terra. Se non si è abituati a questa nuova dimensione, anche solo muoversi risulta molto dispendioso dal punto di vista energetico. Figuratevi dover lottare con un avversario! Il jiu jitsu potrebbe sembrare la cosa più agli antipodi del taiji, invece ne condivide lo spirito, perché entrambi si basano sulla cedevolezza (jiu jitsu, dal giapponese, appunto, "arte della cedevolezza" o "arte della flessibilità"), sull'uso della forza dell'avversario piuttosto che della propria e su un ampio studio della tecnica. L'idea di base è che un avversario più grande e più grosso di noi perde tutti i suoi vantaggi se portato a terra, dove quello che conta è solo l'abilità tecnica e la familiarità con questo ambiente che in ambito marziale a molti è sconosciuto. Una volta atterrato l'avversario, si usano diverse tecniche per prenderne il controllo e bloccarlo con leve o strangolamenti.

Il jiu jitsu ha origine dalle pratiche usate dai guerrieri giapponesi tra il 1300 ed il 1500 durante gli scontri in battaglia, dove non era possibile utilizzare armi lunghe. Essendo coperti da un'armatura leggera, i colpi come calci e pugni servivano a poco, era meglio invece imparare l'utilizzo di armi corte o di prese e proiezioni dell'avversario da effettuare a mani nude. Da qui si è arrivati alla codifica del jiu jitsu intorno al XVIII secolo e alle sue varie ramificazioni, tra cui, nel primo '900, al judo. L'origine della versione brasiliana del jiu jitsu è davvero curiosa. La famiglia Gracie iniziò a studiare judo da uno dei maestri giapponesi inviati in giro per il mondo per diffondere questa nuova arte. Il giovane Helio Gracie però non poteva seguire le lezioni dei fratelli perché troppo gracile e spesso malato, ma questo non gli impedì di osservare avidamente i movimenti e di farli suoi, tanto che un giorno, di nascosto, si sostituì al fratello Carlos, in quel momento assente, nell'insegnare ad un allievo. Questi fu così positivamente colpito dalla lezione che non volle più tornare a seguire le lezioni dal suo maestro precedente!

Il punto debole di Helio, il suo essere di magra costituzione, era stato sfruttato per studiare ed in un certo senso far evolvere i movimenti del judo arrivando ad un'arte più tecnica e più efficace, capace, se padroneggiata, di far primeggiare l'atleta anche nei confronti più impari, per lo meno sul piano fisico. Da quel momento il BJJ si diffuse in tutto il mondo, grazie anche alle vittorie di uno dei figli di Helio, Royce, capace di imporsi nello UFC (Ultimate Fighting Champion) grazie al jiu jitsu, arte ormai fondamentale per ogni atleta che voglia cimentarsi nei tornei di mixed martial arts. Dal judo il BJJ ha trattenuto anche un'altra caratteristica: quella di non essere solo un'arte marziale, ma anche uno sport, un modo per tenere allenato il proprio corpo e di formare il carattere, quella di essere, alla fine, uno stile di vita.

In questi giorni uno stimolo ancora più grande all'iniziare questa nuova esperienza mi è venuto grazie alla possibilità di poter assistere ad uno stage con Robin Gracie, il più giovane dei figli di Helio, al vedere il mio maestro Max passare di cintura e vedersi riconoscere ufficialmente con insegnante della nuova Accademia Gracie Jiu Jitsu di Bergamo!


Max riceve la cintura viola da Robin Gracie

Mi dispiace davvero molto di aver lasciato i miei compagni del corso di taiji, soprattutto in un modo un po' brusco: mi hanno fatto compagnia in un periodo non facile della mia vita e a molti di loro rimarrò legato. Non mi è proprio possibile seguire entrambi i corsi, sia per questioni pratiche che economiche. Cercherò però di non abbandonare il taiji, che tanto mi ha dato e tanto mi può ancora dare. Ma ora ho voglia di iniziare questo nuovo capitolo e son curioso di vedere dove mi porterà. Aspettatevi presto nuovi aggiornamenti!

lunedì 21 novembre 2011

gita a Mandello


Per festeggiare a dovere il primo giorno ufficiale di ferie dal lavoro ho voluto fare una gita nel pomeriggio a Mandello del Lario per visitare il museo Moto Guzzi: tre corridoi gremiti di moto, dai primi esperimenti alle ultime arrivate, o quasi, della casa dell'aquila. Nonostante sia passato per quelle strade qualche decina di volte quand'ero piccolo (andavo in vacanza con la famiglia a Dervio, più a nord, sempre sul lago di Como), solo in tempi recenti, con l'interessamento verso il mondo motociclistico, ho scoperto che il marchio Guzzi aveva sede così vicino a casa. Da appassionato dei viaggi di Ewan e Charley inoltre, mi sono particolarmente emozionato quando ho scoperto della loro visita al museo durante i primi giorni del loro Long Way Down. Ecco il video, dal quarto minuto sono a Mandello.


Era da tanto quindi che pensavo di visitarlo e così oggi ho preso la scusa delle ferie per andarci. La giornata è stata piuttosto grigia, ma senza nebbia e senza gran traffico. Sono arrivato in anticipo ed ho aspettato le 15, ora di apertura, davanti al mitico cancello rosso. Nell'attesa mi son visto sfrecciare davanti due Stelvio guidate dai tester, già quella è stata una bella scossa d'adrenalina!


Il museo ospita all'incirca 250 modelli, compreso qualche esperimento rimasto tale, dalla prima moto con molleggio posteriore non capita dal mercato (la Guzzi ha dovuto abbandonare l'idea, fino a quando qualche altro produttore non è riuscito ad imporla), ad un'altra con un bel paio di sci per la neve, dedicata al mercato finlandese!


Corsa C4V, notare la sella praticamente sulla ruota posteriore


250 Compressore
correreste a più di 200 km/h su questa moto??

Splendidi i modelli carenati da velocità, emozionante la V7 Record o la 8 cilindri (la si vede anche nel filmato di Long Way Down, è quella su cui sale Ewan).


sbaglio o è il mitico Radillon di Spa-Francorchamps?


350, campione del mondo nel 1955




stupenda V7 Record


direi che si commenta da sola...


Otto Cilindri, un mostro a V da 500 cm3, 72 cv e 285 km/h


I modelli storici sono bellissimi, soprattutto quelli più avveniristici o estremi, ma per me Guzzi vuol dire motore a V trasversale. Pensavo e speravo di vedere più V7 Sport, ce n'era invece solo una verso la fine e senza il mitico telaio in rosso. Diverse erano invece le Le Mans, più o meno carenate, o le V7 in versione Polizia (utilizzate anche dalle Highway Patrol in diversi stati americani).


V!


V7 Special, la "mucca"


la storica V7 Sport


una delle 850 Le Mans in esposizione, terza serie



Moto Guzzi anche alla Parigi-Dakar


la Convert 1000 per le polizie americane, con cambio automatico


All'EICMA ho potuto ammirare il restyling della V7 Classic (ora solo V7), stupenda nella colorazione nero opaco e con i cerchi in lega (in pratica la stessa mossa fatta da Triumph nel 2009 con la Bonneville), interpretazione del classico in chiave più moderna. Bellissima.


Gita davvero piacevole, un tuffo nella storia di un marchio conosciuto in tutto il mondo ed in ripresa grazie ai milioni di euro investiti dalla proprietaria Piaggio. Non posso non chiudere col mitico video di Nico Cereghini sulla storia del motore V7. Grande Guzzi e grande Nico!