Oggi studiando sulla splendida enciclopedia "The Australian People" di James Jupp sono venuto a scoprire che è esistita una New Italy qui in Australia, un esperimento riuscito di insediamento italiano, ma dal successo purtroppo non duraturo.
Ma prima di raccontare la storia di New Italy bisogna parlare di altre due "new", anche queste a me completamente sconosciute prima di oggi: New Ireland e New France. La prima esiste veramente, ed è un'isola al largo della costa est della Papua Nuova Guinea. Nel 1880 un nobiluomo francese dal nome Marquis de Rays diffuse una serie di pubblicità per reclutare uomini e donne da inviare nella fantomatica terra di Nuova Francia, una nuova colonia situata ad est della Nuova Guinea. Gli annunci raccontavano di meravigliose terre fertili, clima mediterraneo, addirittura splendidi edifici e grandi strade.
In realtà le due spedizioni inviate in precedenza si erano rivelate un vero disastro: la giungla era impenetrabile, trovare cibo era quasi impossibile, il viaggio era organizzato in maniera più che amatoriale e le scorte, insufficienti, erano ormai quasi finite. Nonostante il tentativo dell'Ufficio Investigativo Reale di Milano di scoraggiare i coloni vietando loro l'emissione del passaporto, 50 famiglie italiane non vollero credere agli allarmi dei governi francese e italiano e si imbarcarono sulla nave India, salpando da Barcellona verso Nuova Francia, previo pagamento di 1800 franchi o l'offerta di lavoro per cinque anni.
Anche questa volta il viaggio, durato tre mesi, fu un incubo. Le condizioni erano disumane, presto si diffusero malattie e morte, ma poco fu il sollievo quando finalmente l'India raggiunse quella che oggi viene chiamata New Ireland: il caos regnava sovrano, i pochi sopravvissuti delle due precedenti spedizioni vivevano di stenti e nessun insediamento permanente era stato creato. Dopo tre mesi si decise di ripartire per Sydney, chiedendo asilo al governo australiano.
I coloni italiani chiesero di potersi trasferire in gruppo in una zona libera per poter costruire il loro insediamento, dichiarando che all'interno della loro comunità erano rappresentate tutte le abilità necessarie per la costruzione e la sopravvivenza di un villaggio in autosufficienza. Il governo poco illuminato del tempo, però, sconsigliò agli italiani di vivere in gruppo perché questo avrebbe ritardato la loro assimilazione alla cultura anglosassone. Così si decise di separarli e di inviarli ognuno in una zona diversa della colonia del New South Wales, allontanando addirittura i figli dai genitori. Ma questo non servì a molto, visto che, onorati i contratti di lavoro e conquistata la libertà, praticamente tutti i coloni italiani si ritrovarono di nuovo insieme e decisero di insediarsi in una zona libera a nord della colonia del NSW, vicino al fiume Richmond.
La terra dove si stabilirono era stata dichiarata dagli inglesi di nessun interesse in quanto non produttiva. Ma questo non preoccupò gli italiani che, come anche in altre parti del paese, trasformarono quella terra improduttiva in un terreno florido e fertile, coltivando vegetali, frutta, mais e cereali. L'uva cresceva con tale successo che, oltre all'utilizzarla per la produzione del vino, si iniziò a venderla ai paesi vicini. In seguito venne introdotta anche la sericoltura e la seta prodotta vinse diverse medaglie. A differenza dei grandi insediamenti inglesi, a New Italy gli agricoltori scelsero di lavorare su piccoli appezzamenti, com'erano abituati a fare in Italia nelle zone collinari del Veneto, da cui la maggior parte proveniva.
Col successo arrivarono i soldi e coi soldi diverse famiglie decisero di trasferirsi in regioni meno isolate, lasciando sempre meno coloni a New Italy, la qual cosa portò prima alla chiusura della scuola nel 1933 ed in seguito alla morte dell'insediamento stesso, col decesso dell'ultimo colone rimasto nel 1955.
Qualche anno dopo New Italy venne riscoperta dai discendenti dei primi coloni che formarono comitati e crearono monumenti e memoriali e infine un museo per commemorare l'esperienza e l'importanza di questo remoto insediamento italiano. C'è anche un sito su Internet, che se volete trovate qui.
Per lo studio che sto facendo ora, mi trovo a scoprire le avventure di tanti emigrati italiani arrivati in zone diverse dell'Australia, dalle piantagioni di zucchero nel Queensland tropicale alle zone aride, le miniere d'oro e l'oceano pescoso del Western Australia, passando per i campi di grano del South Australia o le terre coltivabili (e presunte aride) del New South Wales e del Victoria. Elemento comune di queste esperienze era il riconoscimento di una cultura contadina che, nonostante coincidesse con una bassa scolarizzazione, rappresentava un bagaglio di saggezza e conoscenza fondamentale spesso sconosciuto ai britannici. A questo si aggiungeva un'etica del lavoro molto forte e una determinazione che era comune tra gli emigrati, pronti a grandi sacrifici per raggiungere l'obiettivo desiderato di sicurezza e tranquillità economica.
E siccome spesso gli italiani questo obiettivo lo raggiungevano, cominciarono ad essere mal visti dagli australiani che si vedevano scalzati da chi lavorava meglio e più di loro. Da qui i disordini e le proteste, nell'ovest come nell'est, che a volte obbligarono gli italiani a spostarsi in altre zone, magari ricominciando tutto da capo, ma senza perdere la determinazione.
Trovo bello e formativo scoprire quest'esperienza migratoria degli italiani in Australia, mi inorgoglisce sapere di cosa siamo stati capaci di fare in una terra così difficile come questa, ed in una situazione ancora più difficile visto che eravamo immigrati. Mi vien proprio da ridimensionare le mie crisi e le mie lamentele, anche se quella lavorativa rimane. A dir la verità qualcosina ho trovato, ma è davvero una cosa piccolissima: volantinaggio per un nuovo gommista ad un chilometro da casa mia. Mi porterà pochi soldi, ma è qualcosa.
Passare qualche serata con i miei amici italiani qui a Melbourne mi ha fatto apprezzare la nostra socialità e ha aumentato un po' la nostalgia di casa. Capisco meglio ora chi mi diceva che è un peccato che la gente si lamenti dell'Italia e se ne vada senza cercare di cambiare le cose, per quanto difficile e forse impossibile sia farlo. Sento un senso di responsabilità che, lo ammetto, mi è sempre mancato in passato.
Ora che ci penso, è curioso che questa visione di una nuova Italia mi arrivi dallo scoprire una New Italy di cent'anni fa: poi dicono che la storia non è importante!
L'emigrante è un essere complesso.
RispondiEliminag.
Di sicuro ci saranno stati anche 2 o 3 magutti bergamaschi........non mancano mai quelli hehehehehe
RispondiElimina