domenica 12 dicembre 2010

meno venti domande


Leggendo la rubrica di Nick Hornby sui consigli per la lettura, riportata da Internazionale, mi sono imbattuto in un gioco curioso, ideato dal fisico John Wheeler per spiegare il funzionamento della meccanica quantistica. Horny lo citava avendolo letto nel libro "The Conversations", un dialogo tra lo scrittore Michael Ondaatje e il montatore cinematografico Walter Murch.

Questo gioco è una variante del più conosciuto "venti domande": una persona lascia la stanza per qualche minuto, mentre gli altri presenti scelgono insieme un oggetto. Quando la persona ritorna, avrà venti domande a disposizione per indovinare l'oggetto. Nella versione di Wheeler, invece, le persone che rimangono nella stanza scelgono un oggetto privatamente, ognuno il suo, senza dirlo agli altri. Quando il gioco delle "meno venti domande" comincia con la prima domanda, la risposta che verrà data influenzerà non solo la persona che deve indovinare l'oggetto, ma anche tutti gli altri, che dovranno scegliere un'altro oggetto se quello prescelto in precedenza non soddisfa la risposta data da un loro compagno in precedenza.

Il bello di questo gioco è che nessuno sa cosa gli altri stiano pensando, ma nonostante questo il gioco procede comunque e spesso, anche se non sempre, si arriva all'individuazione di un oggetto che soddisfa la scelta fatta da tutti. Quello che però mi ha affascinato è come Murch lo prenda ad esempio per spiegare come funzioni la creazione di un film. Citando dal blog di Philip Graham, dove ho trovato la spiegazione del gioco: "Il casting influenzerà come il costumista vestirà il protagonista, cosa che a sua volta influenzerà il design del set da parte del direttore artistico, influenzando a sua volta..." Nonostante tutte queste variazioni rispetto ad un'idea iniziale, in film prenderà comunque forma.

Simile potrebbe essere anche la stesura di un libro, come sottolinea Graham: non si parte dalla prima riga della prima pagina arrivando alla fine in maniera lineare. Spesso quello che era l'inizio si sposta più in là nel libro, a metà o magari verso la fine. Si interrompe la stesura di un capitolo per passare a lavorare su un altro grazie alle idee e alle influenze di quello che si è scritto finora, per poi tornare al capitolo incompleto e procedere in una maniera che all'inizio non si era prevista.

Ho trovato la trascrizione presa dal libro di Ondaatje, eccola qui sotto, in lingua originale.


(from The Conversations: Walter Murch and the Art of Editing Film)

Murch: There’s a great game–I forget whether we’ve talked about it–Negative Twenty Questions?

Ondaatje: No, we haven’t talked about it.

Murch: It was invented by John Wheeler, a quantum physicist who was a young graduate student of Niels Bohr’s in the 1930s. Wheeler is the man who invented the term “black hole”. He’s an extremely articulate proponent of the best of twentieth-century physics. Still alive, and I believe still teaching, writing.

Anyway, he thought up a parlour game that reflects the way the world is constructed at a quantum level. It involves, say, four people: Michael, Anthony, Walter, and Aggie. From the point of view of one of those people, Michael, the game that’s being played is the normal Twenty Questions–Ordinary Twenty Questions, I guess you’d call it. So Michael leaves the room, under the illusion that the other three players are going to look around and collectively decide on the chosen object to be guessed by him–say, the alarm clock. Michael expects that when they’ve made their decision they will ask him to come back in and try to guess the object in fewer than twenty questions. Under normal circumstances, the game is a mixture of perspicacity and luck: No, it’s not bigger than a breadbox. No,you can’t eat it….Those kinds of things.

But in Wheeler’s version of the game, when Michael leaves the room, the three remaining players don’t communicate with one another at all. Instead, each of them silently decides on an object. Then they call Michael back in.So, there’s a disparity between what Michael believes and what the underlying truth is: Nobodyknows what anyone else is thinking. The game proceeds regardless, which is where the fun comes in.

Michael asks Walter: Is the object bigger than a breadbox? Walter–who has picked the alarm clock–says, No. Now, Anthony has chosen the sofa, which is bigger than abreadbox. And since Michael is going to ask him the next question, Anthony must quickly look around the room and come up with something else–a coffee cup!–which is smaller than a breadbox. So when Michael asks Anthony, If I emptied out my pockets could I put their contents in this object? Anthony says, Yes. Now Aggie’s choice may have been the small pumpkin carved for Halloween, which could also contain Michael’s keys and coins, so when Michael says, Is it edible? Aggie says, Yes. That’s a problem for Walter andAnthony, who have chosen inedible objects: they now have to change their selection to something edible, hollow, and smaller than a breadbox.

So a complex vortex of decision making is set up, a logical but unpredictable chain of ifs andthens. To end successfully, the game must produce, in fewer than twenty questions, an object that satisfies all of the logical requirements: smaller than a breadbox, edible, hollow, et cetera. Two things can happen: Success–this vortex can give birth to an answer that will seem to be inevitable in retrospect: Of course! It’s the —-! And the game ends with Michael still believing he has just played Ordinary Twenty Questions. In fact, no one chose the —- to start with, and Anthony, Walter, and Aggie have been sweating it out, doing these hidden mental gymnastics, always one step ahead of failure. Which is the other possible result: Failure–the game can break down catastrophically. By question 15, let’s say, the questions asked have generated logical requirements so complex that nothing in the room can satisfy them. And when Michael asks Anthony the sixteenth question, Anthony breaks down and has to confess that he doesn’t know, and Michael is finally let in on the secret: The game was Negative Twenty Questions all along. Wheeler suggests that the nature of perception and reality, at the quantum level, and perhaps above, is somehow similar to this game.

When I read about this, it reminded me acutely of filmmaking. There is an agreed-upon game, which is the screenplay, but in the process of making the film, there are so many variables that everyone has a slightly different interpretation of the screenplay. The cameraman develops an opinion, then is told that Clark Gable has been cast in that part. He thinks, Gable? Huh, I didn’t think it would be Gable. If it’s Gable, I’m going to have to replan. Then the art director does something to the set, and the actor says, This is my apartment? All right, if this is my apartment, then I’m a slightly different person from who I thought I was: I will change my performance. The camera operator following him thinks, Why is he doing that? Oh, it’s because… All right, I’ll have to widen out because he’s doing these unpredictable things. And then the editor does something unexpected with those images and this gives the director an idea about the script, so he changes a line. And so the costumer sees that and decides the actor can’t wear dungarees. And so it goes, with everyone continuously modifying their preconceptions. A film can succeed in the end, spiralling in on itself to a final result that looks as if it has been predicted long in advance in every detail. But in fact it grew out of a mad scramble as everyone involved took advantage of all the various decisions everyone else had been making.

martedì 7 dicembre 2010

बुद्ध

Nuovo arrivo in casa Baroni-Togni, uno splendido Buddha regalatomi da Sergio per il mio trentesimo compleanno! Ecco subito una foto fresca di scatto:


Questo Buddha è stato acquistato recentemente da Sergio durante una vacanza a Bali fatta con il padre. Nella lettera che lo accompagna si fa riferimento "alla strada che porta verso il vulcano Batur", quindi da qualche parte qui nei dintorni. Un'altra informazione interessante contenuta nella lettera è la seguente: "la tradizione vuole che le statue del Buddha non possano essere acquistate per se stessi. Le si può ricevere solo in regalo..." Al di là dei significati religiosi legati al Buddha, mi piace quest'idea che implica il donare come qualcosa di più importante del semplice possesso personale.

Buddismo e induismo hanno un'origine comune e possiedono diversi punti in comune, ma anche alcune differenze sostanziali. Comprensibile lo stupore dei due splendidi Ganesh ricevuti in regalo da Samuele negli anni passati nel veder arrivare questo Buddha baliano! Avranno tempo per fare amicizia, intanto però il Ganeshone ha preteso il dominio sulla camera da letto e una foto separata. Per la cronaca, il Ganesh a sinistra non è in cura dimagrante, proviene (se la memoria non mi inganna) dall'Orissa e rappresenta il simbolismo sempre induista, ma più tribale, di quella regione (Sam correggimi se sbaglio).


Così il Buddha fa ora bella mostra di sé accanto alla super tv di Alessandro, che da Buddha Warrior qual'è credo che apprezzi il nuovo ospite. Che dici Ale, il mio Tai Chi migliorerà grazie all'aura della statuetta? :)

Grazie mille a Sergio per l'ottimo regalo, il Buddha mi ha già detto che ti attende in pellegrinaggio in via Tremana per una visita!

ps: il nome del post è "Buddha" scritto in sanscrito.

sabato 4 dicembre 2010

quello che conta

Si, il blog è un po' cambiato, nell'estetica, nel nome... Ma è solo contorno, giusto così, per rinfrescare un po' il sito. E così l'aspetto del blog credo sia anche più carino.

Vorrei riportarvi due citazioni che ho letto in questi giorni, da fonti diverse, che mi hanno colpito e mi sono rimaste. Apparentemente non c'entrano nulla l'una con l'altra, si passa dall'esperienza traumatica di una situazione di guerra in Afghanistan alle riflessioni di uno storico sulle sue gite in Svizzera con la famiglia, durante la sua infanzia. Però forse questi pensieri non sono così distanti, anzi forse parlano esattamente della stessa cosa. Di come osserviamo la vita nel momento in cui siamo più vicini alla morte, che sia per questioni drammatiche come la guerra del primo esempio, oppure alla fine di una lotta contro la malattia nel secondo. Della ricerca dell'essenziale, degli affetti più cari, dei ricordi più sereni di quello che si è vissuto. Ma spazio alle parole.

"Gli uomini fanno le guerre per il profitto o per un ideale, ma le combattono per il territorio e le donne. Presto o tardi le nobili cause affogano nel sangue e perdono di significato. Presto o tardi morte e sopravvivenza ottundono i sensi. Presto o tardi l'unica logica che resta è quella della sopravvivenza, e l'unica prospettiva la morte. Poi, quando i migliori amici muoiono urlando, e anche gli uomini migliori, folli di dolore e rabbia, perdono la ragione in un abisso insanguinato, quando tutta la giustizia, la bontà e la bellezza del mondo sono strappate via insieme alle gambe, alle braccia e alle teste di fratelli, figli e padri, allora ciò che continua a spingere gli uomini a combattere e a morire è la volontà di proteggere le donne e la terra.
Capisci che è così quando senti parlare gli uomini nelle ore che precedono la battaglia. Parlano delle loro case e delle donne che amano. Capisci che è così quando li guardi morire. Se un soldato in punto di morte è sdraiato al suolo, cerca di affondare le mani nella terra, di afferrarla. Se può, solleva la testa e guarda la montagna, la valle o la pianura. Se è lontano dalla sua terra pensa alla sua casa, e parla del suo villaggio, o della terra in cui è cresciuto. E alla fine un soldato non inveirà contro chi o cosa l'ha ridotto in quelle condizioni, ma sussurrerà il nome della figlia, della sorella, della moglie, della madre, persino mentre invoca il nome del suo Dio. La fine è come l'inizio. Alla fine restano soltanto una donna, e una città."

dal libro "Shantaram", di Gregory David Roberts

"C'è una specie di sentiero che corre lungo la ferrovia tascabile di Muerren. A mezza strada, un piccolo caffè - l'unica fermata sulla linea - serve il classico cestino da viaggio svizzero. Più avanti, la montagna cade a picco nella valle tettonica. Dietro al caffè, potete arrampicarvi fino ai pascoli estivi, con le mucche e i pastori. Oppure potete semplicemente aspettare il prossimo treno: preciso, prevedibile e puntuale al secondo. Lì non succede mai niente: è il luogo più felice del mondo.
Non possiamo scegliere dove cominciare la nostra vita, ma dove finirla sì. Io so dove sarò: in viaggio su quel trenino, senza una destinazione particolare, per sempre."

dalla nota autobiografica "Amo la Svizzera", di Tony Judt (1948-2010)
[Internazionale n°874]

giovedì 25 novembre 2010

bananas


Da un articolo dell'Economist, riportato su Internazionale di questa settimana:

"Secondo la costituzione del Nicaragua, un presidente può essere rieletto per due mandati non consecutivi. Ortega, che ha governato dal 1985 al 1990 ed è stato rieletto nel 2006, non può ripresentarsi. Ma l'ex leader sandinista ha cercato di abolire le limitazioni costituzionali alla sua rielezione. Non riuscendo ad ottenere la maggioranza in parlamento, si è rivolto ai suoi alleati nella corte suprema: i giudici hanno stabilito che il divieto di rielezione viola i suoi diritti umani. Il presidente ha quindi prorogato illegalmente i mandati di questi giudici. Per giustificare questa scelta, i leader del partito sandinista hanno ordinato la stampa di una costituzione riscritta (ma falsa) durante una festa nazionale a settembre. Le autorità elettorali hanno accettato la candidatura di Ortega per il 2011.

Olé, proprio da repubblica delle banane. La parte sulla violazione dei diritti umani è talmente bizzarra che suonerebbe divertente, se non ci fossero in ballo le sorti di un paese.

venerdì 22 ottobre 2010

the ignorant, tight ass club

Leggo questa notizia sul Corriere online, ne riporto qualche riga:

"Il Corano dà al musulmano il diritto di giudicare i cristiani e di ucciderli con la jihad (guerra santa). Ordina di imporre la religione con la forza, con la spada. Per questo i musulmani non riconoscono la libertà religiosa, nè (sic) per loro nè per gli altri. [...] Il Corano inculca al musulmano l'orgoglio di possedere la sola religione vera e completa. [...] Nel Corano poi non c'è uguaglianza tra uomo e donna".

E vorrei rispondere con questo, dalla serie The West Wing, episodio "The Midterms" (2x03):



Come si fa ad invitare al dialogo partendo da queste premesse?? Uno dei corsi che sto seguendo in università si chiama "Storia dell'Islam", basta solo aver seguito un paio d'ore per sapere che "jihad" non vuol dire guerra santa, che il Corano è stato scritto nel VII secolo e che quindi non è il caso di prenderlo alla lettera, che se proprio vogliamo farlo, allora dovremmo precisare che invita ad usare la spada contro gli idolatri ed i pagani, ma non contro ebrei, cristiani e zoorastriani, genti del Libro, a cui è richiesto di sottomettersi pagando una tassa (diverse popolazioni cristiane passate sotto il dominio islamico scoprirono di trovarsi meglio di prima, costava molto meno in tasse...) ed evitando il proselitismo, ma per il resto liberi di professare la loro religione nei loro luoghi di culto.

C'è bisogno che dica io che è l'interpretazione distorta e strumentale del Corano ad essere il vero problema? Ben venga il dialogo interreligioso, se però fatto con serietà. Il mondo arabo ha diversi problemi da affrontare ed è carente sotto diversi aspetti, primi fra tutti il rispetto dei diritti umani e delle donne. Se si vuole davvero fare qualcosa, sarebbe meglio non parlare a vanvera e gettare benzina sul fuoco.

Perché il Corriere non può fare un minimo di approfondimento, invece di riportare queste parole così, senza alcun commento? E' bastato a me aver fatto due lezioni di storia per poter dire due parole al riguardo! Vorrei che in Italia ci fosse un altro tipo di giornalismo.

giovedì 21 ottobre 2010

come i vecchietti nel parco


Da qualche settimana ho iniziato un corso di Tai chi chuan. In realtà questa non è la corretta traslitterazione, ma è così comune e conosciuta che vien difficile pure a me cambiare. Si rifà al sistema di traslitterazione Wade-Giles del XIX secolo, mentre con le regole attuali del pinyin si dovrebbe scrivere Tai ji quan (e visto che sono entrato nel merito, la lettera q va pronunciata come 'ci'). So che pare secondario, ma dopo i tre mesi in università sotto le grinfie della professoressa Amy, molto brava e severa, mi son sentito in dovere di precisare!

Mi sono avvicinato a quest'arte marziale per diversi motivi e grazie alla passione degli amici Alessandro e Vincenzo; quest'ultimo è anche uno degli istruttori. Prima di chiedere a loro qualche informazione, vedevo il Tai ji come una versione sbiadita e lenta di quello che una volta era una forma di combattimento praticata soprattutto dai vecchietti nel parco. Inutile dire che c'è dietro un mondo e che qualsiasi vecchietto che lo pratica ha ora tutto il mio profondo rispetto!

La verità è che quei movimenti lenti e, ad uno sguardo superficiale, semplici, sono in realtà eseguiti con una precisione che va ricercata col tempo e con tanta, tanta pratica. Inoltre lo sforzo che si va a chiedere alle gambe non è affatto indifferente. In questo sono aiutato dalla corsa, che, pur praticata saltuariamente, mi ha dato un po' di muscolatura su cui posso far affidamento. Ma sicuramente i margini di miglioramento e rafforzamento sono tanti e mi fa solo piacere. Lo stesso vale per la cura nei movimenti. Ogni singolo dettaglio dev'essere tenuto in considerazione, dalla posizione delle mani a quella delle ginocchia, dal movimento del busto alla posizione della testa, senza parlare dell'elemento fondamentale, l'allineamento della colonna vertebrale. E tutto questo è fatto per trovare l'equilibrio perfetto e con questo la postura migliore, rafforzando i muscoli che controllano le singole vertebre della spina dorsale garantendo un ovvio benessere a tutto il corpo.

Come in tutte le cose, se si presta attenzione e si è indirizzati nel modo giusto, si scoprono tante cose a cui non si faceva attenzione, si acuiscono i sensi e si impara ad ascoltare sensazioni che non si erano mai sentite prima. Inutile dire che per ora ho solo potuto percepire questa profondità, ci vorrà tanto tempo ed il maestro non smette mai di dircelo, giustamente. Quello che già so è che, affinando il fisico, faccio solo uno dei tanti passi da compiere per poter padroneggiare il Tai chi. La maggior parte del percorso da fare sarà nella mia testa.

La voglia è quella di imparare tutto e subito, ovviamente! Ma cerco di avere pazienza e lavorare con quello che ho. Per descrivere i maestri del Tai ji, la loro fermezza ed il loro perfetto equilibrio nonostante un'apparenza fluida, si usa paragonarli a delle sbarre di ferro avvolte nella seta, o qualcosa di simile. Ecco, quello che percepisco io quando mi esercito è più cannucce di plastica avvolte nella carta igienica... :) Ma tant'è, spero di poter rileggere questo post tra un po' di mesi e vedere quanto percorso ho fatto. Magari tra un po' vi aggiornerò su come procede l'esercizio!

sabato 16 ottobre 2010

80 voglia di foto


Vorrei segnalarvi un sito in cui raccolgo qualche esperimento fotografico, lo trovate qui. Sono foto rielaborate con l'applicazione Poladroid, che come il nome fa piuttosto chiaramente intuire, trasforma i vostri scatti supertecnologici a oltre dieci megapixel in sfocate Polaroid!

Avevo già visto qualche foto rielaborata in questa maniera, ma sono state le splendide foto canadesi di Luca a farmici appassionare. A catturare la mia attenzione è stato inizialmente l'aspetto vintage, ma poi anche la morbidezza dei contorni sfumati e dei colori tenui, cose che per le mie limitate capacità fotografiche ancora non riesco ad ottenere con una foto "normale". E poi, forse, una foto un po' sfocata rende meglio la realtà di questi tempi incerti... :)

Ho scelto il tumblr perché volevo uno spazio solo per quelle foto, grazie alla funzione archivio si può avere una bella schermata riassuntiva con tutti gli scatti, mi pareva una cosa carina. Beh, tutto qui. Se per caso volete cimentarvi anche voi con Poladroid, fatemi vedere i risultati!

venerdì 8 ottobre 2010

nel paese delle creature selvagge

Orco, mostro, animale... Non sto parlando del film di Spike Jonze, ma dei titoli e dei commenti che leggo al riguardo della tragica vicenda di Sarah. E la cosa mi infastidisce. Perché penso che sia troppo facile commentare in quel modo, ci fa comodo perché ci serve per sentirci normali, di rimando. Lo zio di Sarah non è un orco, ma un uomo. Un uomo malato. Etichettarlo come un mostro, inoltre, a mio parere peggiora ulteriormente la situazione, perché evita di fare passi avanti verso l'unica cosa auspicabile dopo un evento del genere: cercare di fare il possibile perché cose del genere non si ripetano.

Non so quali problemi abbia questa persona, non intendo giustificare il suo gesto in alcun modo, da zio di quattro nipoti a cui sono tanto legato provo brividi e ribrezzo al solo pensiero di quello che ha fatto. Ma non è un mostro venuto da un altro mondo, ed altre persone in questo momento hanno le stesse potenzialità, potrà succedere di nuovo e succederà, in un'altra famiglia "normale" e "tranquilla".

Vorrei poter trovare delle risposte alle domande che ho in testa, perché cose così accadono, perché si scenda così in basso, che problemi possono originare queste azioni, quanto peso ha la nostra società maschilista in tutto questo, quanti abusi ci sono ogni giorno che non vengono a galla, cosa si possa fare per cambiare le cose, per prevenire. Mi rendo conto dei miei mezzi limitati, ma per lo meno so che non voglio risposte facili ed etichette inutili; ho sentito chi proponeva corsi di difesa personale, ci mancano giusto le ronde anti-mostri e siamo a posto.

Non voglio giustificare né difendere lo zio di Sarah, credo però che anche l'invocazione della pena di morte sia una risposta troppo comoda, come se si volesse eliminare il marcio e far finta che così tutto torni sano. Forse dovremmo accettare che l'uomo ha queste potenzialità, e interrogarci su cos'è che le scatena e come fare a incanalarle in altro, a prevenire, e non a guardare dall'altra parte.

Avevo tutto questo in testa quando ieri sera leggevo lo splendido libro Shantaram, e mi ha colpito che le ultime parole del capitolo letto fossero proprio queste, dette da Abdel Khader Khan: "'La verità è che non esistono uomini buoni o cattivi', rispose. 'Sono le azioni a essere buone o cattive. Gli uomini sono soltanto uomini: è quello che fanno o evitano di fare che li guida al bene o al male.'"

E lasciate in pace anche gli animali, che non scendono mai così in basso.

venerdì 11 giugno 2010

take me home

Ultimo weekend australiano prima della partenza, si cominciano a chiudere vari capitoli: stamattina sono stato alla Boathouse per prendere l'ultima paga e per i saluti e gli addii di rito. L'ultimo mio giorno di lavoro l'ho fatto martedì, visto che la mia disponibilità per il giorno seguente non è servita causa pioggia. Se gli ultimi giorni di lavoro non mi hanno dato particolari emozioni, forse perché vedevo la partenza ancora non così imminente, andare oggi al lavoro da semplice cliente mi ha colpito.

Certo, i tre mesi e poco più passati al chiosco non sono tantissimi, però l'esperienza l'ho sentita molto emotivamente, e comunque è stata parte del mio quotidiano australiano, che proprio perché tale è forse amplificato: tutto qui è stato nuovo, l'unico collegamento con l'Italia era dietro questo schermo del computer, per il resto ogni cosa è stata da scoprire e conoscere. Mi sono un po' commosso allontanandomi dal parco dopo i saluti, un po' perché era palese il dispiacere dei colleghi e persino del capo, un po' per le belle parole che mi sono state dette, e poi perché sapevo che non avrei più rivisto questo angolo del parco per me ormai così familiare.

Ma come dicevo qualche post fa, ci sono progetti nuovi ad attendermi, quindi ben venga questa nuova partenza, vissuta un po' come la terza dopo quella dall'Italia prima e da Perth verso il Victoria poi. Scrivevo qualche giorno fa in una mail ad un amico di come per me questo continuo cambiare sia inedito, vista la fossilizzazione in cui tendo sempre a ficcarmi. E insegna anche molto, a far tesoro di quello che si sperimenta e ovviamente a mettersi in gioco di più, altra mia grande lacuna. Questo ritorno è solo tale perché verso il luogo da cui sono partito, ma non è un ritorno alla mia vita prima dell'Australia. E penso che capirò se davvero e in cosa sono cambiato solo quando mi ritroverò in Italia e vedrò le mie risposte a input familiari.

Intanto l'emozione è forte, faccio fatica a prender sonno la notte allo stesso modo di quando contavo i giorni prima della partenza per l'Australia. Sinceramente ora come ora non sento tanto nostalgia di questa vita australiana, ma probabilmente è solo perché ci sono ancora immerso. Mi è bastato allontanarmi dal chiosco per sentire un nodo allo stomaco, probabilmente sarà così anche martedì mattina quando uscirò di casa per l'ultima volta. Sono però contento di aver trovato quella serenità nel pensare e programmare il mio futuro che probabilmente era l'obiettivo principale di questo viaggio. Avevo bisogno di allontanarmi da tutto, per quanto difficile fosse, e stare solo per conto mio per capirlo. Veramente non ne ero sicuro, ma ha funzionato!

Vorrei dedicare il tempo restante a visitare un po' la città, ma il meteo non mi aiuta vista la pioggia che si fa vedere spesso. Ieri comunque ho seguito un itinerario della mia guida di Melbourne che mi ha portato nelle viette più nascoste del centro: nate come strade di servizio, con lo sviluppo intenso della città si sono pian piano riempite di negozi e di caffè, vedendo sfruttato ogni centimetro disponibile.

Alcune di queste vie, però, sono rimaste quasi inutilizzate, preda quindi degli artisti di strada che le hanno trasformate in un'opera d'arte in continua evoluzione, tra graffiti e poster ovunque. Una di queste è la famosa ACDC Lane, istituita ovviamente in onore della più famosa band australiana e di Melbourne.

E' stato bello essere "Nick" per qualche mese, riabbracciare Sergio, scoprire un paese nuovo e viverlo andando oltre l'immagine da cartolina, parlare inglese con più o meno difficoltà, guidare per migliaia di chilometri con un sei cilindri sotto il pedale, fare lavori diversi, scoprire l'indipendenza di un appartamento mio... E istruttivo, più di tutto, scoprirsi fragili e in crisi nelle difficoltà e venire a contatto coi propri limiti. Ora mi aspettano sedicimiladuecentosettanta chilometri (e centoventiquattro metri) da attraversare, da casa mia a Kew a quella dei miei genitori ad Albano. Si torna a casa! E visto il lungo viaggio, un Ganesh benaugurante non fa male.

venerdì 4 giugno 2010

record-racing with the rockers


Nelle ultime settimane, un po' istigato da uno scambio di mail con mio fratello Mattia, ho ripreso a documentarmi sul mercato motociclistico, in attesa di un futuro acquisto della mia prima motocicletta, un evento per ora senza una data precisa. La mia passione per le moto, a differenza di alcuni appassionati motociclisti di lunga data, come per esempio mio padre, è recente ed è legata ad un momento preciso: la lettura del libro Long Way Round, il viaggio intorno al mondo in motocicletta fatto da Ewan McGregor e Charley Boorman, nel 2004.


Il senso di libertà, di avventura, assaporato con quel libro che trasudava passione per le due ruote, mi ha letteralmente conquistato. Ed il vedere qualche mese dopo la serie a puntate di quel viaggio non ha fatto altro che consolidare la voglia di stare in sella ad una moto, di guidare godendosi in maniera diversa il paesaggio rispetto alla guida di un'auto.

Il mondo motociclistico è vasto, mi ci sono avvicinato a piccoli passi e mi sento ancora un neofita anche perché non è con la lettura che si diventa motociclisti, ma coi chilometri che scorrono sotto il sedere. Per ora comunque mi accontento di guardarmi intorno e di farmi un minimo di cultura, base che mi servirà comunque per una scelta della moto da acquistare. Il campo d'azione piano piano si riduce, comincio a capire un po' cosa mi piacerebbe avere sotto mano, comincio a capire qual'è la moto che fa per me, e di pari passo la lista delle moto che mi piacerebbe provare comincia a prendere corpo.



Triumph Thruxton SE

Un tipo di moto che mi ha affascinato da subito è quello delle modern classic, motociclette che riprendono il look degli anni '60 accompagnato da una tecnologia e un'affidabilità moderne. La prima a conquistarmi è stata la Triumph Bonneville, poi ho scoperto le classic di altre marche, come la GT 1000 della Ducati o la V7 della Moto Guzzi. Di recente alcune foto di versioni customizzate della Triumph Thruxton, un'altra classic che si rifà alle café racer dei sixties, mi hanno letteralmente tolto il fiato! La notizia della recente apertura di un concessionario Triumph a distanza di passeggiata da casa mia (in Italia) non ha fatto altro che aumentare la febbre motociclistica di questi giorni!



Moto Guzzi V7 Classic

Questa sera ho voluto un po' documentarmi sulle origini delle café racer, un termine che sento da qualche tempo, ma di cui ignoravo finora l'origine. Alla fine della seconda guerra mondiale, i veterani di guerra rientrati nella società non si sentivano per nulla a loro agio sulle grosse moto tutto confort del tempo e così, col senso pratico derivato dalla loro esperienza militare, si misero a modificarle togliendo tutto quello che non era necessario (da qui per esempio il termine "chopper" delle moto americane, dal verbo "to chop", "tagliare di netto" tutto il superfluo).

Questo avvenne sia negli Stati Uniti che in Europa, e particolarmente in Gran Bretagna, ma siccome la situazione viaria era decisamente differente, anche il risultato è stato molto diverso. In entrambi i casi il punto d'arrivo era una moto veloce e leggera, ma mentre in America le motociclette venivano modificate per ottenere qualcosa di basso e orientato verso una guida di crociera su lunge strade ampie e per lo più rettilinee, in Gran Bretagna si cercò invece di ottenere una moto più alta e agile, adatta alle strade inglesi più strette, tortuose e con solo due corsie. In Europa, inoltre, c'erano anche meno soldi da spendere, quindi i modelli inizialmente erano più spartani e la varietà era minore.

Col benessere che piano piano aumentava dopo la Seconda Guerra Mondiale, coi trasporti in evoluzione, la creazione di caffé lungo le arterie principali e l'influenza di film come The Wild One, i giovani appassionati di motociclette e di musica rock and roll crearono una sottocultura, definendosi Rocker o Ton-up boys (dal termine ton-up, guidare ad una velocità di 100 miglia all'ora o più). I Rocker frequentavano i transport café (pronunciato "caff"), stazioni di servizio con benzinaio e ristorante che si andavano diffondendo per venire incontro all'aumento del traffico dei mezzi pesanti, ed usavano queste stazioni come punto di partenza ed arrivo delle loro gare.

Tipica sfida dei Rocker era il record-racing: partire dal transport café, raggiungere un determinato punto (ad alta velocità, oltre i 100 MPH) e ritornare al punto di partenza, prima che una singola canzone potesse essere ascoltata per intero al jukebox. Se si tiene conto che le canzoni del tempo, come quelle di Eddie Cochran tanto in voga tra i Rocker, duravano spesso meno di due minuti, si capisce come le sfide fossero decisamente ad alta velocità. Uno dei percorsi più famosi è quello dall'Ace Café all'Hanger Lane junction e ritorno, per la distanza di tre miglia, quasi cinque chilometri.




una Triton, motore Triumph e telaio Norton

Se le prime moto café racer erano per lo più telai Norton combinati con il potente motore Triumph Bonneville (combinazione chiamata Triton), o telai BSA se si avevano meno soldi (quindi un Tribsa), in seguito le case costruttrici iniziarono a produrle di serie, per lo più modificando esteticamente modelli esistenti. Il risultato era quindi una moto dalle identiche prestazioni, solo più scomoda da utilizzare. Questo portò il fenomeno ad una quasi completa scomparsa. Di recente, con l'interesse per la moto vintage, le modern classic di cui parlavo ad inizio post, è ritornato in voga il fenomeno café racer, anche se in chiave più che altro estetica.



una delle tante customizzazioni della Thruxton

E qui il cerchio si chiude, visto che si ritorna alle foto delle Triumph Thruxton (la versione café racer della Bonneville, manubrio basso, sella monoposto e coda accorciata) modificate a cui facevo cenno sopra e che molto mi stanno affascinando. Ma come saggiamente mi viene consigliato, è solo con una prova della moto che si può capire se c'è feeling oppure no. Per ora posso però dire di aver trovato un tipo di moto che mi fa aumentare le pulsazioni e la sudorazione e credo che non sia poco...


giovedì 27 maggio 2010

le profezie di Misterione, terza puntata

Continuano le previsioni sul 2000 de Il Globo, questa volta incentrate sul tema alimentazione. Vado subito col primo sommario:

Nell'Imperial Valley della California si fanno fruttare le piante quattro volte all'anno e si ottengono chicchi d'uva grossi quanto mandarini - Carciofi "su ordinazione" in pochi giorni - Esplode il germoglio appena gettato il seme - Dall'istante della semina fino alla tavola del consumatore, nessuna mano d'uomo tocca il prodotto e nessun contadino si sporca più di terra neppure la suola delle scarpe - A forza di incroci, dei maiali sono stati ridotti alle dimensioni di coniglio per un più facile allevamento e smercio - Bastano 42 giorni per trasformare un pulcino in un grasso e carnoso pollo da mercato: meno della metà del processo naturale - I tacchini senza padre, nati da madre vergine

Come nella puntata precedente, anche qui le previsioni sono quell'attimo ottimistiche. Non capisco bene quanto contento potrebbe essere il contadino, né la sua ragione d'esistenza, se davvero non fosse più necessario lavorare i campi. Anche del maiale rimpicciolito mi sfuggono i lati positivi: che me ne faccio di un salame grande come un dito?! Vediamo se col prossimo sommario va un po' meglio:

Alcuni segreti della dieta dei nostri nipoti: bistecche disidratate, ridotte alle dimensioni di francobolli, sandwiches di pollo come un'ostia che si gonfiano dopo l'immersione nell'acqua, fragole trattate con raggi gamma e conservabili fino a vent'anni - Prosciutto, funghi e pere sottoposti a radiazioni atomiche, rimangono freschi come all'istante della produzione e della raccolta - Il frigorifero non servirà più - Gli industriali di cibi inscatolati si lamentavano che i pomodori erano troppo grossi e irregolari: così sono stati prodotti pomodori quadrati - Negli stabilimenti della Du Pont a Wilmington si fabbrica già marmo sintetico che ha le identiche qualità e prestazioni, ma costa un terzo, del marmo naturale - La plastica materiale principale del futuro

A parte l'indovinata impennata dell'utilizzo della plastica, anche qui si naviga nella fantascienza. Se anche fosse possibile avere cibi sempre freschi, non so quanto sarebbe salutare mangiarli conditi di radiazioni atomiche! Mentre il cibo francobollo forse non è così assurdo, ma di certo non si è ancora diffuso quanto credevano.

Stupisce la fiducia incondizionata verso le scienze ed il trattamento chimico del cibo, qualcosa che ora si comincia a mettere seriamente in discussione con coltivazioni biologiche, organiche, biodinamiche... Probabilmente è un po' il taglio della rubrica de Il Globo ad essere così poco critica, magari già dai primi anni '70 c'era qualche movimento verde attento alle coltivazioni; non sono affatto ferrato sull'argomento, quindi non so essere più preciso. Altra cosa da dire, gli accenni alle mutazioni indotte degli animali qui fanno sorridere, ma ci sono cose che l'uomo ha già fatto e che continuerà a fare che forse non sono poi troppo distanti, anzi magari son pure peggio!

Diciamo che questa fantascienza anni '60, questa visione del futuro come qualcosa di efficiente, sicuro e sano, mi fa sorridere, ma in fondo la invidio, perché quest'ottimismo lo si è perso. Ora il futuro è irrimediabilmente oscuro, inquinato, popolato da guerre per le risorse, alterato dai cambiamenti climatici e dall'incuria e il disinteresse dell'uomo. Speriamo di sbagliarci tanto quanto Misterione!

lunedì 17 maggio 2010

inglish

"Vado in Australia per migliorare il mio inglese". La maggior parte delle volte dopo aver detto questa frase mi sono sentito rispondere: "Ma allora stai sbagliando paese!"

E' vero, l'inglese parlato dall'australiano medio ha una cadenza particolare, ma il più delle volte la verità è che un inglese "vero" non esiste. Certo, c'è il british english, c'è "l'inglese della regina", ma anche solo in Inghilterra è possibile trovare diversi dialetti, per non parlare della Gran Bretagna intera. Il più delle volte quando si pensa ad un inglese standard, si ha in mente quello americano: vuoi per la musica, vuoi per i film o le serie tv, è questo per me l'inglese che ho come riferimento e quello che la mia cadenza maccheronica tenta di imitare di più.

Essendo un ex colonia inglese, in Australia l'influenza del british english è forte, ed è la base su cui poi è partita l'evoluzione dell'inglese australiano. Probabilmente questi mesi passati downunder stanno un po' modificando la mia parlata, in fondo non avevo mai passato prima più di due settimane in un paese anglofono. Quello su cui riflettevo oggi, però, è che quotidianamente sono esposto ad una miriade di inglesi differenti, di cui quello australiano è solo una piccola parte.

Al chiosco dove lavoro ho a che fare con molti stranieri, dai paesi più differenti, oltre a qualche australiano: c'è Joe da Newcastle, Tammy da Manchester, Clare e Lee da Glasgow, poi gli asiatici Chay e Rick (India), Basu e Ace (Nepal), Jet (Malaysia), più qualche altro collega del caffè che vedo ogni tanto, come il messicano Juan, o i cuochi del ristorante, un italo-australiano di nome Enzo e un indiano.

Ognuno di loro parla un inglese differente, quello senza "erre" e con delle vocali aperte degli inglesi, lo scottish english che è sicuramente il più curioso e per me il più difficile da capire, il buffo inglese degli indiani che sa essere ostico anche per la testardaggine dei parlanti che non si sforzano molto per risultare meglio comprensibili, la versione malese un po' più nasale e aperta, che fa percepire il background della lingua orientale di partenza, oppure le cadenze più familiari dell'inglese influenzato dallo spagnolo o dall'italiano. Durante le prime settimane ho anche avuto un collega tedesco che come molti suoi connazionali parlava un inglese corretto e facilmente comprensibile.

Oltre a questi colleghi stranieri c'è una manciata di australiani, ognuno col suo modo di parlare: c'è Robbie che è l'australiano doc con la parlata dell'outback, quella proprio eccessiva e caratteristica, c'è Emma che sarebbe comprensibile se rallentasse un po' la velocità di espressione, Kieran che eccede nel senso opposto con una parlata lenta e per questo molto chiara, più qualche superiore, ognuno con una gradazione diversa di accento australiano nel proprio inglese.

Insomma, il chiosco è uno spaccato dell'Australia, tante nazionalità e tante parlate differenti. Sicuramente una buona palestra, se non per imparare un inglese perfetto, almeno per adattare l'orecchio ad una costante babele di inglesi diversi!

sabato 8 maggio 2010

le profezie di Misterione, seconda puntata

Spulciando i vari numeri de Il Globo dei primi anni '70, mi sono imbattuto in una rubrica dal nome "America 2000", dedicata alle invenzioni scientifiche prospettate per i trent'anni a venire. Il giornalista Luigi Romersa, curatore di questa rubrica, ha viaggiato in lungo e in largo gli Stati Uniti da un laboratorio scientifico all'altro, intervistando visionari inventori e cercando di delineare quella che sarebbe stata la vita negli anni duemila.

Dovendomi dedicare alla ricerca di ben altro materiale, non mi è stato possibile leggere gli articoli per intero, ma non ho potuto fare a meno di trascrivere i sommari introduttivi. E' vero che non è mai facile fare previsioni sul futuro, si tende sempre a immaginare un mondo fantascientifico a pochi anni di distanza. Bisogna riconoscere che alcune delle previsioni si sono rivelate corrette. Certe affermazioni di Romersa, però, mi sembrano parecchio ingenue! Mi chiedo che scienziati folli abbia intervistato! E che fine abbiano fatto loro ed i loro studi...

In ogni caso, puntata dopo puntata, prendendo in prestito il nome dell'ormai mitico profeta Misterione, vi riporterò questi geniali sommari. Qui di seguito il primo:

Helmer e Gordon, due vulcanici cervelli da cui dipendono gran parte delle sorti dell'America e del mondo, scatenano una guerra alle leggi della natura per rendere l'uomo utile e giovanile fino dopo i 200 anni d'età - Fra pochi anni, nel 1975, i traduttori automatici elimineranno il problema delle differenze delle lingue - Nel 1990 la vita sarà creata del tutto artificialmente in laboratorio e nello stesso tempo si potrà provocare a piacimento la pioggia e il bel tempo - La scienza farà del futuro un miracolo continuo - Si potrà smontare un essere umano, togliergli il cuore, i polmoni, il cervello, il fegato, l'intestino, le gambe, le braccia e ricomporlo con pezzi artificiali - Si troverà il sistema di avere donne sempre giovani e belle e scomparirà lo spauracchio della menopausa - Topi vengono educati e poi ammazzati, ed il "neurone", in cui è concentrata la scienza appresa, è quindi iniettato in topi "ignoranti": sarà lo stesso per gli uomini

Non male la vita nel duemila, eh? Soprattutto per le donne sempre giovani e belle... Piuttosto ottimistica la previsione sulle lingue, mi sa che Romersa ha intervistato uno sceneggiatore di Star Trek credendo fosse uno scienziato! Col meteo qualcosa si è fatto, ma non così a comando. Anche l'ultima ipotesi fa molto fantascienza ed eugenetica. E questi Helmer e Gordon che avevano in mano le sorti del mondo, dove sono finiti?!

Ed ecco il secondo sommario:

I militari, che potranno essere trasportati da un punto all'altro del mondo nel giro di venti o trenta minuti per mezzo di razzi, adopereranno piccole "carabine atomiche" della potenza di un kilotone - Tempeste e bufere di pioggia e tormente di neve saranno artificialmente create per bloccare il nemico - I delfini verranno adoperati come i ricognitori marini del futuro - Regolari traffici con la "colonia-Luna" per mezzo di autobus spaziali a centocinquata duecento posti - Basterà una pillola per rendere gli uomini immuni alle radaizioni nucleari

Anche qui grande ottimismo, sembra più L'Eternauta che una plausibile previsione per il duemila. I delfini credo siano stati seriamente usati in campo militare, ma sono piuttosto ignorante al riguardo e tutto quello che riesco a ricordare sono quelli totalmente inutili di Steve Zissou! Alla prossima!

giovedì 6 maggio 2010

A380 experience!

Oggi ho preso il biglietto di ritorno, parto il 15 giugno mattina e arrivo il giorno seguente, all'alba, a Malpensa, volando con Singapore Airlines. Purtroppo la lowcost AirAsia che tanto economica si era rivelata all'andata, per il viaggio di ritorno diventa meno conveniente. E' vero che volo da Melbourne, quindi più lontano rispetto all'arrivo nell'Australia Occidentale, però il prezzo è più che raddoppiato!

Con un centinaio di dollari in più, quindi, posso volare con una compagnia aerea vera, cibo e intrattenimento compresi, e non devo fare scalo a Londra. Inoltre avrò l'inaspettato piacere di poter volare, nella prima tratta da Melbourne a Singapore, su un Airbus A380! Trattasi, per chi non ne fosse al corrente, del più grosso aereo di linea mai costruito. E' vero che è solo qualche metro più grande dello storico 747, ma il solo fatto di avere due piani lo rende un vero e proprio palazzo volante! Ok, sto parlando più dell'aereo che del ritorno, ma se mi conoscete non sarete sorpresi. Aggiungo soltanto che ho deciso di partire qualche ora prima e attendere di più a Singapore solo per poter volare sull'A380 e non su un "banale" Boeing 777 (che, per la cronaca, mi attenderà a Singapore per il volo verso l'Italia).

Fino a qualche settimana fa pensavo di tornare intorno a metà maggio, l'avevo anche scritto qui sul blog mi pare. Ho però cambiato idea, o meglio ho deciso di estendere di un mese la mia permanenza, perché mi sembrava di partire troppo presto. Un po' perché sul lavoro ormai mi trovo bene, mi arrangio in tutto e, a parte in questi giorni di pioggia, mi trovo a lavorare di più perché alcuni colleghi hanno lasciato. Per quanto banale possa essere il mio lavoro, è comunque piacevole e abbastanza soddisfacente gestirmi i miei spazi e le mie mansioni senza dover chiedere continuamente agli altri come fare le cose o dove trovare quello che serve come all'inizio. La routine casa-lavoro è, appunto, diventata un'abitudine e mi sono reso conto che non volevo abbandonarla così presto.

Inoltre, sia per il maggior lavoro che per un mio impigrimento, la ricerca per la tesi aveva subito un rallentamento. Ben venga quindi questo mese aggiuntivo per completare gli studi sul posto. La spulciatura delle prime pagine de Il Globo procede a gonfie vele, tra brutto tempo e giorni di riposo, in questi giorni sto facendo una full-immersion alla State Library con i microfilm del giornale, ho appena terminato gli anni '70. Mi ha fatto un certo effetto leggere i titoli del caso Moro, settimana dopo settimana, o le notizie quasi regolari degli altri omicidi legati al terrorismo di sinistra o di destra. Altro titolo regolare in quel periodo è stato questo: "Il governo Andreotti in crisi"! Ma quanti governi ha guidato o tentato di guidare?! Inoltre scopro perle di giornalismo come la seguente:

Mi è stato appena chiesto se mi sento triste o agitato per il rientro. Devo ammettere che in questi giorni ho faticato a prendere sonno, quindi probabilmente agitato lo sono! La tristezza ci sarà di sicuro, ma intanto non si sente visto che ho ancora più di un mese davanti a me. I piani per il futuro prendono piano piano forma, anche per questo il rientro lo vivo in maniera positiva e con attesa. Spero inoltre che il tempo a Bergamo, in questi quaranta giorni che mi separano dall'Italia, abbia modo di sistemarsi e volgersi al bello!

mercoledì 28 aprile 2010

le profezie di Misterione, prima puntata

La lettura delle prime edizioni de Il Globo continua a regalare spunti interessanti! Oggi mi sono imbattuto in un articolo in prima pagina che mi ha lasciato senza parole. Il numero su cui è pubblicato è dei primi giorni di marzo del 1969 (allora Il Globo era ancora un settimanale), ho quindi pensato che fosse un pesce d'aprile in anticipo, ma sui numeri delle settimane seguenti non s'è più fatto cenno alla storia raccontata. Ma l'ilarità del testo è troppa anche per gli anni '60, suppongo quindi sia stato uno scherzo della redazione e che nessuno ci abbia creduto seriamente.

La notizia che viene riportata è la scoperta di un manoscritto del 1582, ritrovato nelle rovine dell'antico convento basiliano di Polistena, una piccola cittadina della provincia di Reggio Calabria, raso al suolo dal "flagello del 1783", un devastante terremoto che interessò tutto il sud Italia. Facendo qualche ricerca ho scoperto che in Calabria esisterebbe tuttora una superstizione secondo cui le estati molto calde (come quella dell'anno precedente il flagello, il 1782) precederebbero i terremoti.

Il contenuto clamoroso di questo manoscritto è una preveggenza di incredibile precisione, ad opera di uno sconosciuto monaco, di nome Misterione! Inutile dire che le ricerche di cui sopra non hanno portato ad alcun risultato riguardo sia la preveggenza che il nome (geniale) di questo monaco. Tale Misterione aveva previsto lo sbarco sulla Luna ad opera di tre astronauti americani con ben 400 anni di anticipo! E' piuttosto curioso però che questo manoscritto sia venuto alla luce solo quattro mesi prima del vero e proprio sbarco dell'Apollo 11...

In ogni caso, spazio alle parole di Misterione!

"Seculo de la luna sirà nomato quello et auuerrà insù alla fine de lo anno bismillesimo de la era crisiana. Et li primeri huomini che alla luna adiungeranno sirano tres huomini de lo novo continente, buscato da messer Colombo novanta anni or sonvi et itinere faranno verso la luna ne lo tempo sacro di Natale et sirà quello el primero Natale lunatico."

Ok, in effetti si fa riferimento al Natale, mentre Armstrong e compagni sono sbarcati a luglio. Ma Misterione ha anche parole premonitrici sugli usi e costumi dei giovani del '900! Prima attacca i ragazzi dai capelli lunghi:

"Et haurassi abbondevol copia di homini giovini che li capelli usque alli pedi poraranno o trezza assai longa, fino at assembrare selvaggiosi ed raminghi come li antichi romei, per lo chè essi hauer douarebbero cento tratti di corda cadauno per omne capillo de la testa, ouuero anni tres di relegatione ne la insula di Sardinia, infra li nuraghi."

Poi ne ha anche per le ragazze e per i loro vestitini post-rivoluzione sessuale:

"Et le femine, pulzelle grande licenziosità et nudità ne lo vestimento hauranno perlochè ne lo Polo frigiorioso esse devariano essere mandate et colà bramar vestimento et non hauerlo, et piagner de frigore et nidutate per secula seculorum."

Ma il meglio arriva alla fine, quando si ritorna alla preveggenza lunare, con delle metafore da applausi:

"Io veggio huomini iscapar navigando diritto come fulgure verso lo cielo de le stelle fisse, auuerossia verso la luna et ponere pede su quella grande frittata d'argento che naviga ne lo padellon del cielo."

Grande Misterione!

Il Globo mi ha regalato altre sorprese ed altre preveggenze sulla vita negli anni 2000, questa volta sicuramente senza ironia, seppur con parecchia ingenuità, quindi rimanete sintonizzati perché la rubrica "le profezie di Misterione" rimarrà a farci compagnia per un po'!

sabato 24 aprile 2010

district 9

Ieri sera ho visto District 9 al cinema, in una serata dedicata alla fantascienza, in cui era proposto insieme allo splendido Moon. Sapevo poco di questo film sudafricano, giusto la premessa che fa da sfondo alla storia e che viene spiegata anche dal trailer, praticamente un riassunto dei primi dieci minuti del film.



Dopo questa fase introduttiva, il documentario lascia spazio all'azione, in un crescendo sempre più movimentato e cruento. Non voglio rivelare alcun dettaglio per chi di voi deve ancora vedere il film, sappiate che parecchie scene a me hanno fatto davvero effetto ed in genere non mi lascio impressionare facilmente. Ma se quest'azione colpisce durante la visione, le riflessioni del giorno dopo si concentrano soprattutto sui contenuti sociali della pellicola.

L'ambientazione sudafricana non lascia scampo, i riferimenti all'apartheid sono palesi, addirittura più di quanto pensassi, visto che per mia ignoranza non ho mai approfondito bene la storia degli scontri razziali in Sud Africa. Per esempio, il nome del distretto in cui sono rinchiusi gli alieni e la deportazione di questi fa riferimento al District Six, un'area residenziale all'interno di Cape Town da cui sono state forzatamente rimosse 60 mila persone di colore per trasformarla in un'area per soli bianchi.

Ma gli eventi e le situazioni che il film rappresenta da un punto di vista fantascientifico potrebbero benissimo essere applicate ad altre zone nel mondo in cui vi sia uno scontro razziale o religioso. Preoccupante e desolante sentire alcune persone ridacchiare durante la proiezione del film durante certe scene in cui gli alieni vengono maltrattati; gli australiani hanno poco da insegnare visto che con gli aborigeni hanno fatto ben peggio che gli umani in District 9. Peccato che ancora oggi ci sia chi considera la fantascienza solo un'evasione dalla realtà quotidiana.

Tornando a District 9, informandomi un po' su wikipedia ho scoperto che il regista (alla sua opera prima: complimenti!) ha adattato al grande schermo un corto da lui realizzato nel 2005, Alive in Joburg. Eccolo qui sotto, o se volete qui con sottotitoli in italiano.



Al di là della realizzazione ovviamente amatoriale (gli alieni sono anche fatti bene, ma le armature sembrano dei Gundam super-deformed!), anche qui i riferimenti agli scontri etnici sono più palesi di quanto sembri: per esempio, le interviste riportate in cui non si fa riferimento agli alieni sono prese da veri documentari in cui gli intervistati esprimevano la loro opinione sui rifugiati zimbabwiani.

Guardandolo ora dopo aver visto il lungometraggio, è bello notare come ci siano diversi elementi che sono stati ripresi e ampliati, inoltre l'attore al minuto 3:20 è il protagonista di District 9.

geniale campagna pubblicitaria per District 9

Certo il film di Blomkamp mette tante questioni scottanti sul tavolo senza proporre alcuna soluzione, inoltre lo sfondo sociale fa, appunto, solo da sfondo, il resto è azione. Si parla inoltre di sequel (che forse sarà un prequel), il che mi fa storcere il naso. In ogni caso District 9 rimane un gran film, decisamente consigliato.

sabato 17 aprile 2010

di partenze e rimanenze

E così Kerem è partito ed io sono tornato alla solita routine. E' stato bello avere una compagnia diversa in questi giorni, parlare tanto, fare nuove esperienze e godersi Blues Brothers al cinema: cosa chiedere di più? In un certo senso in questi giorni Kerem ed io ci siamo influenzati a vicenda, trovando nell'altro quello che ci mancava.

Dopo mesi on the road, Kerem aveva voglia di un po' di tranquillità, di dormire sotto un tetto che non fosse quello della sua auto, di fare la vita di città; io invece, dopo più di un mese di routine lavorativa, avevo voglia di evasione, di staccare dal lavoro e di fare cose diverse. Adesso, paradossalmente, io avrei voluto andare con lui verso Perth per assaporare ancora la sensazione di libertà che solo un viaggio verso mete distanti migliaia di chilometri può dare, mentre lui era quasi in fastidio a partire e avrebbe voluto fermarsi di più e godersi la tranquilla vita di sobborgo!

Ma ognuno ha ripreso la sua strada, contento di questa condivisione inaspettata. Arrivederci in Europa quindi, tra diversi mesi. Kerem vorrebbe tornare via terra, o mare, passando in particolare per la Turchia, paese d'origine della sua famiglia. Ma intanto ci sono ancora diversi mesi in Australia, visto che come per me il suo visto scade a novembre e lui ha intenzione di sfruttarlo fino alla fine.

La proiezione di ieri sera è stata davvero uno spasso, la sala era quasi piena e vedere Kerem divertito (era la sua prima volta con i Blues Brothers, non male quindi godersela al cinema) mi ha fatto davvero piacere. Come per tutti i film visti e rivisti in gioventù, sono più legato alla versione doppiata in italiano, anche perché in questo caso i doppiatori hanno fatto un grande lavoro rendendolo quasi migliore e caratterizzando meglio i personaggi. In ogni caso, nonostante i suoi trent'anni, rimane una commedia musicale geniale, sempre piacevole da vedere anche se la si conosce a memoria. E poi avere un pubblico che ride, applaude e ripete le battute più mitiche esalta ancora di più!

venerdì 16 aprile 2010

...due cigni...neri...dei pipistrelli...neri...

Dopo due settimane di tempo variabile, pioggia e soprattutto temperature massime intorno ai 15 gradi, ecco tornato il sole, il cielo blu e i 25 gradi! Non ho idea di quanto durerà, a Melbourne non si può mai essere certi di nulla riguardo il meteo, quindi meglio godersi il sole finché c'è. Nonostante ieri fossero ancora le nuvole grigie a farla da padrone, io e Kerem siamo usciti per una passeggiata. Visto che Kew è un sobborgo carino, ma non certo per turisti, ho pensato che sarebbe stato più piacevole andare al parco e, soprattutto, noleggiare una canoa per un giro sul fiume, visto che come dipendente alla Boathouse posso farlo senza pagare.

Arrivato al molo ho trovato due amici visti soltanto un'altra volta in questi mesi, due splendidi cigni neri che vivono in zona, ma che si fanno vedere raramente. La prima volta che li ho visti stavo lavorando e quindi non avevo la fotocamera con me, ma questa volta sono riuscito ad immortalarli. Trovo che siano davvero splendidi, tra l'altro sono molto amichevoli e se ti avvicini ti vengono incontro. Fa davvero strano vederli, sembra di guardare un cigno in negativo!

Il giro in canoa è stato davvero bello, anche grazie al fatto che le due gocce di pioggia che avevano iniziato a cadere hanno presto lasciato spazio a qualche raggio di sole, salvo poi tornare di nuovo, ma nel corso del pomeriggio. Completamente soli, ci siamo diretti controcorrente come sempre si consiglia, visto che viene più facile poi tornare indietro. Certo la corrente sullo Yarra non è forte, ma abbiamo verificato che il rientro è stato davvero più semplice, anche se c'è da remare. L'idea era di farci un giro di un'oretta, per poi rifare la stessa strada a piedi arrivando però fino alla colonia dei pipistrelloni. Invece, a forza di remare, ci siamo arrivati in canoa e sono davvero contento che sia andata così, perché vederli dall'acqua, da molto vicino, è stata un'esperienza che non dimenticherò!

Le volpi volanti sono tante, centinaia di sicuro, probabilmente anche un migliaio. Durante il giorno si aggrappano ai rami degli eucalipti e sembrano dei frutti neri e sproporzionati. Forse per il nostro passaggio o forse perché semplicemente chiacchieravano tra loro, il rumore dei loro versi era molto forte.



Mentre facevamo qualche foto ci siamo avvicinati ad uno degli alberi ed abbiamo notato come i pipistrelli nei rami più bassi avevano aperto le loro ali e ci fissavano! Non credo che ci fosse alcun vero pericolo, ma certo ci ha fatto impressione e così abbiamo deciso di tornare a più sicure distanze.

La zona è comunque controllata da telecamere, come avvertono i cartelli nella zona, e l'imperativo è non disturbare. L'odore cattivo di cui avevo sentito parlare si è sentito, ma non in maniera forte, né fastidiosa come credevo.

Il giro in canoa era qualcosa che ci tenevo a fare, come anche il visitare la colonia dei volponi volanti, è stato bello poterlo fare con Kerem che si è entusiasmato quanto me.

Oggi invece siamo stati da un meccanico per far controllare la sua auto. La situazione non è così critica come sembrava, anche se purtroppo non c'è stato modo di trovare il pezzo che andrebbe sostituito sulla sua auto per correggere la piega della ruota. Il problema non è il pezzo in sé, che può resistere anche così, quanto il consumo e la pressione della ruota che si ritrova a toccare l'asfalto solo con la spalla destra. In ogni caso, Kerem pare determinato a tentare il viaggio verso ovest, o per lo meno ad iniziarlo tenendo sotto osservazione la situazione. Lo posso capire, quando viaggi e trovi un'auto come compagna ti ci affezioni molto, paradossalmente l'incidente lo ha legato ancora di più ed ora raggiungere Perth con quella Subaru svergola è diventata una missione!

L'importante è non rischiare stupidamente di fare un altro incidente, inoltre c'è da tener conto il parere della polizia: non credo che una macchina che sembra disegnata da Picasso possa passare un controllo... In ogni caso, la strada da qui ad Adelaide non è particolarmente lunga né attraversa zone deserte, quindi è fattibile. Il problema potrebbe essere l'attraversare il Nullarbor, che non perdona; io ho suggerito di cercare ad Adelaide il pezzo di ricambio: qui in Victoria tutto è più costoso e meno alla mano, sicuramente nel South Australia, e ancora meglio nel Western Australia, i pezzi di ricambio per auto di vent'anni fa si trovano senza grossi problemi.

E rimanendo in tema di uomini in missione, stasera lo porto al cinema a vedere Blues Brothers, che non ha mai visto! Eresia. Non potevo mancare quest'appuntamento: dopo la splendida proiezione fatta al Conca Verde due capodanni fa da dvd, adesso avrò modo di vederlo anche in pellicola! Ora che ci penso, si rimarrà anche in tema "incidenti d'auto"...

mercoledì 14 aprile 2010

Kerem

Questa mattina ho ricevuto una chiamata da Kerem, l'amico tedesco conosciuto nei primi giorni a Melbourne, tornato oggi in città dopo due mesi passati in Tasmania. Al contrario di quanto successe a gennaio, quando io ero in crisi totale e lui mi risollevò il morale, adesso è lui ad essere in una situazione problematica, quindi per me è stato un piacere poterlo aiutare offrendogli almeno l'alloggio per qualche giorno, visto che il mio coinquilino è a Sydney coi genitori.

Qualche giorno fa Kerem si è capottato con la sua auto. Per fortuna non si è fatto un graffio, nonostante il ribaltamento e il finestrino del lato guidatore che sia andato in frantumi. Passata la paura è subentrato lo sconforto: l'auto doveva servire per un viaggio verso l'ovest e poi il nord dell'Australia, mentre ora è un catorcino ambulante che non si sa ancora se possa avere un futuro.

Al di là del danno estetico, c'è una ruota posteriore che ha un'inclinazione poco simpatica. Il meccanico da cui Kerem è andato per capire un po' che fare si è persino rifiutato di controllarla dicendo che è da buttare. Io non me ne intendo, ma non mi pare che il danno sia così estremo. Certo, visto i prezzi delle auto usate forse non val la pena di sistemarla, ma addirittura rifiutarsi di controllarla mi pare eccessivo. Comunque adesso vedremo cosa si può fare, ovviamente la sicurezza ha la priorità.

In ogni caso, ora ha qualche giorno per riflettere ed a me fa molto piacere avere compagnia. Dopo cena abbiamo parlato parecchio, raccontandoci le esperienze di questi mesi e poi partendo in discorsi filosofici sul senso della vita. Si, avevamo bevuto, ma solo uno o due bicchieri di vino!

Mi ha colpito rivederlo, positivamente, sia per il piacere di passare il tempo con una persona speciale quale lui è, sia perché rivederlo ora mi fa riflettere sui cambiamenti di questi mesi. Come già detto, l'ho conosciuto proprio nel momento più nero di quest'esperienza australiana, in piena crisi appena arrivato a Melbourne. E fu proprio lui a farmi rilassare, sorridere e a darmi coraggio. E adesso, dopo qualche mese, eccoci qui ancora insieme, però questa volta nel mio appartamento. Chi l'avrebbe mai detto quei primi giorni, sperduto in una città ostile?

Neanche a farlo apposta, domani e dopo sono di riposo dal lavoro, quindi avrò modo di godermi questa breve convivenza, anche se mi ero ripromesso di concentrarmi bene sullo studio che sto pigramente lasciando da parte e quindi mi prenderò i miei spazi. E' bello aver ritrovato una persona così speciale e poter essere d'aiuto, sono piccole esperienze che però contano tanto.

martedì 13 aprile 2010

il ritorno

Oggi ho comunicato al mio capo che tra un mese smetterò di lavorare e devo ammettere che la decisione di tornare in Italia a maggio non è stata così facile da prendere come avrei immaginato. In realtà era già nei piani, anzi mi ero persino detto che sarei anche potuto tornare prima. Poi dopo ardua ricerca ho finalmente trovato il lavoro al chiosco e da lì è cominciata la routine casa-lavoro che continua tutt'oggi.

Proprio questa routine mi ha tenuto lontano dal blog, non perché non avessi materialmente tempo per scrivere, ma a causa di una mancanza di argomenti interessanti di cui parlare. Qui tutto procede bene: sono arrivati i genitori del mio coinquilino (anche se ora sono tutti a Sydney per festeggiare il capodanno buddista), sul lavoro ormai mi arrangio senza problemi e coi colleghi mi trovo sempre bene e sto piano piano approfondendo la conoscenza e legando.

Ma c'era un altro motivo che mi ha tenuto temporaneamente distante dalla scrittura in queste prime settimane di aprile: dopo i giorni impegnativi delle vacanze pasquali ho cominciato a pensare al ritorno in Italia e a come organizzarmi ed in quel momento mi sono reso conto che mi spiaceva lasciare tutto quello che avevo costruito qui. Ci sono tanti motivi per cui ho voglia di tornare, non fraintendetemi: rivedere la famiglia, i nipoti, gli amici, ritrovare le atmosfere di casa, tornare ad esprimermi compiutamente senza troppe ansie (si, lo so, anche in italiano a volte faccio fatica) e soprattutto continuare coi progetti di studio. Però....

Però qui ho una casa in cui mi trovo bene ed ho i miei spazi, ho un lavoro che non è eccezionale, ma che mi permette di mantenermi e che vivo serenamente, che a volte è impegnativo e altre mi regala belle risate. Ed ho un visto che dura fino a metà novembre. Per un po' di giorni sono stato quindi incerto sul da farsi. Certo, restare avrebbe voluto dire posticipare per l'ennesima volta gli impegni universitari, rinviare di qualche mese il ritorno tra le persone che ho care, ma almeno mi sarei goduto ancora un po' la mia vita a Melbourne, la mia indipendenza, e avrei potuto garantire un rapporto di lavoro più duraturo al chiosco.

Stamattina la decisione definitiva, quella di tornare a metà maggio. Il mio capo non ha fatto storie, probabilmente non solo perché è una persona comprensiva, ma anche perché in fondo non sarei stato così essenziale nei prossimi mesi, con l'inverno alle porte (il chiosco è aperto tutto l'anno, chiude solo il giorno di Natale). Mi sono ritrovato a commuovermi quando l'ho poi comunicato ai miei colleghi. Oggi c'erano proprio le persone con cui mi trovo meglio, l'indiano Chai che condivide con me la zona cibo, Rebecca e Joe. Mi ha commosso soprattutto trovarli dispiaciuti, mi son quasi sentito in colpa. Ma quello che mi ha fatto decidere è proprio il fatto di sentire la mia indipendenza così importante. Rimanere qui prolungherebbe una situazione sicuramente piacevole, ma comunque temporanea. So per certo di non voler restare qui a lungo termine, quindi non creerei le basi per qualcosa di più duraturo, né questo lavoro mi permette di mettere da parte chissà quanti soldi in questi mesi. Meglio quindi tornare, perché prima torno, prima mi incammino lungo una nuova strada.

La malinconia però c'è, pur con ancora un mese davanti a me. Mi sembra di terminare anzitempo un'esperienza che sarebbe dovuta durare di più. E mi colpisce come sia praticamente il lavoro a darmi questa sensazione, come sia il mio essermi ambientato e sistemato a farmi desiderare di restare. Ma le cose sono andate così, avessi trovato il lavoro appena arrivato a Melbourne magari ora sarebbe tutto diverso e mi sentirei più pronto a partire. In ogni caso, visto che di esperienze lavorative ne avevo ancora poche, faccio tesoro di questi mesi al chiosco, sia per quello che ho imparato praticamente, sia per il lato umano dell'esperienza.

Inoltre l'alternativa era tra farmi l'inverno australe e poi quello boreale o tornare per l'estate italiana...

martedì 30 marzo 2010

microgiornalismo

Oggi ho avuto la giornata libera dal lavoro, a sorpresa: ero a dieci minuti dal parco quando mi hanno chiamato dal chiosco per dirmi che potevo stare a casa, dato che il tempo si stava mettendo sul brutto. In realtà non ha poi piovuto, ma non mi sono lamentato perché una giornata libera per lo studio mi faceva decisamente comodo.

Sono così finalmente andato alla State Library in centro, dove ho potuto consultare i primissimi numeri de Il Globo, su microfilm. Che bello! E' stato davvero affascinante! Prima di tutto i microfilm sono decisamente comodi: le pagine del giornale vengono proiettate su una base ampia e quindi la lettura è facilitata, cosa da non trascurare vista l'impaginazione piuttosto caotica del tempo (tante colonne strette, attaccate le une alle altre). Inoltre ogni singolo numero si scorre molto velocemente, quindi si può consultare parecchio materiale in poco tempo. Particolare anche l'atmosfera della stanza dedicata alla lettura, con le luci soffuse e questi cabinoni con i rulli per il microfilm in alto (mi sembrava di essere tornato a proiettare, hehe), il piano di proiezione illuminato e la rotella laterale per far scorrere la pellicola.

A tutto questo si aggiunge il fascino di consultare giornali degli anni '60, con notizie politiche mondiali concentrate soprattutto sulla guerra fredda, ma anche sugli eventi, soprattutto tragici, che hanno colpito ad esempio l'Italia (tipo il Vajont) o il Cile (con titoli e immagini di un terremoto e maremoto che tristemente ricordavano molto quello appena avvenuto). Per ora ho coperto quattro anni, dal primo numero del '59 alla fine del '63. E' quindi morto Kennedy e gli americani ancora lottano con i russi cercando di raggiungere la Luna. Modugno non ha convinto gli spettatori a Melbourne, mentre la Pizzi si prepara per un tour molto atteso. Mi ha tristemente colpito il caso beffardo di una pubblicità a tutta pagina dell'Alitalia che esaltava il suo primo anno coi nuovi DC-8 a motore Rolls Royce che tanta soddisfazione e successo economico hanno portato, salvo poi trovare la notizia di un disastro aereo della nostra compagnia di bandiera nel numero successivo, proprio di un DC-8 partito dall'Australia e schiantatosi tentando un atterraggio a Bombay in pieno monsone (ma la colpa pare sia stata del controllo del traffico aereo indiano).

Fantastica poi questa notizia, trovata nella rubrica "Notizie dall'Italia" del primissimo numero:

PER UNA SCOMMESSA
beve un fiasco di vino

Modena, 29 ottobre
Per una scommessa di cinquecento lire tale Remo Miglioli di 45 anni, ha bevuto tutto d'un fiato un fiasco di vino facendosi poi ricoverare all'ospedale in gravi condizioni.

E da ridere anche titoli come questo: Un guappo assassinato in un duello a revolverate

Altri tempi...

Forse avrò il giorno libero anche domani, se così sarà tornerò negli anni sessanta per un'altra immersione giornalistica. Vorrei avere più tempo per leggere anche le notizie che non riguardano direttamente l'immigrazione, ma purtroppo i numeri da consultare sono tanti, quindi è meglio che mi concentri sugli editoriali.

Dopo aver visto e salutato i nipoti Tommy e Ginevra settimana scorsa, oggi ho avuto modo di vedere l'accoppiata Richi e Ludo! Ecco uno screenshot della movimentata telefonata! Bello pensare che tornerò presto dai miei nipotini.